Il peso dell’Italia cresce a Bruxelles

I profeti di sventura sono stati costretti a fare marcia indietro. Hanno subito una clamorosa sconfitta dentro i palazzoni di Bruxelles. Quando la premier di Palazzo Chigi disse no al bis di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Ue il circolo mediatico della sinistra scatenò un’offensiva per avvalorare la tesi che il governo italiano di centrodestra era isolato nel contesto europeo. D’altra parte, in Germania le elezioni erano state vinte dal socialdemocratico Olaf Scholz, in Francia il presidente Emmanuel Macron è un liberal-progressista, in Spagna e Portogallo governano esponenti dei rispettivi partiti socialisti. A Londra, anche se non più Eu dopo la Brexit, i conservatori di Sunak avevano subito una dura sconfitta dai laburisti di Keir Starmer, riformista, moderato.

Alcuni elementi facevano però presagire che l’Italia stava riacquistando un ruolo di peso non solo in Europa ma a livello internazionale con l’ottima organizzazione del G7 in Puglia, con la spinta del progetto Mediterraneo e lo sviluppo dell’Africa (piano Mattei), con il pieno appoggio a Kiev di Zelensky, con una politica d’immigrazione diventata esempio anche di altri paesi.

Il rischio isolamento c’era a causa degli attacchi dei movimenti di sinistra alle posizioni ritenute “sovraniste” del leader della Lega Matteo Salvini, i cui europarlamentari fanno parte del gruppo dell’ungherese Viktor Orban e della francese Marine Le Pen.

Il merito della leader di Fratelli d’Italia è stato quello di far contare nella coalizione di governo di centrosinistra (27,5 per cento Fdi, 9 per cento Fi, 8,5 Lega, 1,2 per cento Moderati) l’immagine di uno schieramento credibile, europeista e aperto al dialogo in politica estera e in economia.

L’aspetto più significativo dopo le elezioni europee è stato quello di aver saputo ribaltare la prassi delle precedenti legislature che prevedeva la spartizione delle principali cariche tra Partito popolare, Partito socialista e liberali.

La Meloni ha gettato sul tavolo il ruolo dell’Italia paese fondatore e di terza economia dell’Unione e il cordiale rapporto e la stima reciproca con von der Leyen. La designazione dell’ex Ministro pugliese Raffaele Fitto tra i 6 vicepresidenti esecutivi e con deleghe ai Fondi di Coesione e alle Riforme (quindi anche Pnrr, insieme a Dombrovskis, considerato un falco in economia) rappresenta il riconoscimento che nella squadra di centrodestra, salvo qualche sbavatura ed errore, ci sono personaggi idonei a ricoprire compiti delicati e a gestire sfide complesse.

La designazione a Commissario Esecutivo pone Fitto in una posizione di prima fila nella plancia di comando dello staff di Ursula von der Leyen, in cui i 15 componenti su 27 componenti del collegio eletti nel Ppe avranno la maggioranza nelle scelte future. Manca ancora un tassello per la piena operatività.

Come da regolamento tutti i Commissari saranno sottoposti alle audizioni che si terranno in ottobre ma sembra improbabile che non superino il test anche se per qualche tempo socialisti e liberali hanno minacciato di non votare l’esponente italiano, che invece gode di grande considerazione negli ambienti europei.  Il pericolo sarebbe quello di compromettere l’intero assetto della Commissione che è stata opera di cucitura e incontri riservati della leader popolare. Anche il Pd di Elly Schlein ha assunto una posizione d’attesa, facendo dipendere il voto a quanto dirà Fitto nelle audizioni.

Ci sarà tempo per la sostituzione agli Affari europei di Palazzo Chigi, forse dopo l’approvazione del Bilancio e un “rimpasto governativo”.

Aggiornato il 18 settembre 2024 alle ore 10:23