Nella ricorrenza dei centocinquant’anni dalla nascita di Luigi Einaudi, ogni volta che si parla di scuola è bene aver presente che una società non è libera se non lo sono le sue istituzioni scolastiche, e che il passo fondamentale per muoversi nella giusta direzione è l’abolizione del valore legale del titolo di studio e, di conseguenza, di ogni programmazione di Stato. È in effetti l’esistenza del “pezzo di carta” a esigere una qualche forma di accreditamento, ed è quest’ultimo che obbliga qualsiasi scuola, pubblica o privata, a seguire gli orientamenti decisi dai governanti. Tale premessa è necessaria dinanzi alle polemiche sulla volontà, espressa dal ministro Giuseppe Valditara, di riformulare le linee-guida di quella materia (Educazione civica) che più di altre si presta a diventare strumento di un indottrinamento volto a “costruire” sudditi ubbidienti e passivi. Contro ogni rituale glorificazione dei pubblici poteri, il ministro ha voluto evidenziare la centralità della persona e il fatto che lo Stato è uno strumento, che deve essere al servizio della società.
E oltre a ciò nei nuovi criteri egli ha cercato di evidenziare il nesso tra libertà e responsabilità, oltre che il ruolo imprescindibile giocato dalle aziende private e dagli imprenditori. Com’era facile immaginare, il Consiglio superiore della Pubblica istruzione ha espresso un parere negativo; e tra le molte osservazioni avanzate c’è pure l’esplicito indicazione di eliminare quell’obiettivo che invita ad “Apprendere il valore dell’impresa individuale e incoraggiare l’iniziativa economica privata”. Qui siamo in presenza di un duro scontro ideologico: da un lato c’è chi sostiene che per crescere nella propria civitas sia opportuno uno sforzo per comprendere il ruolo delle forze più vive e innovative, a partire dagli imprenditori; dall’altro lato, invece, abbiamo una visione Stato-centrica e focalizzata sui luoghi dell’amministrazione e del potere, perché l’obiettivo non è di avere uomini liberi e consapevoli, ma cittadini addomesticati.
Al di là delle discussioni sui singoli punti, la polemica estiva in merito ai contenuti dell’Educazione civica obbliga a chiederci, ora che le scuole tornano ad accogliere i nostri giovani, quanto l’istruzione in Italia sia al servizio di una società libera, e quanto invece non funzioni da strumento di una socializzazione che intende manipolare la cultura dei ragazzi, così che siano sempre più docili dinanzi alle nuove parole d’ordine: che si tratti della “sostenibilità” come della “solidarietà”, della “inclusività” come della “legalità” (quale che sia, ovviamente, il contenuto delle leggi a cui si deve ubbidire). Per decenni nessuno ha messo in discussione la tesi, cara ai paladini dell’esistente e ai cantori delle istituzioni di potere dell’età moderna, che la scuola debba servire a orientare verso taluni valori e imporre ben precisi lessici. È un’ottima cosa che di questo oggi invece si discuta, anche sulla scorta della coraggiosa lezione di quello che fu il primo presidente della Repubblica italiana.
(*) Direttore del dipartimento di Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 09 settembre 2024 alle ore 10:57