Quel pasticciaccio brutto

La vicenda (deprimente) della “non consulente” del Ministero della Cultura Maria Rosaria Boccia, lancia degli assist da cogliere al volo su diversi temi che ruotano intorno alla stessa, da un punto di vista sociologico, da un punto di vista politico e da un punto di vista di analisi fenomenologica, ovvero di descrizione, studio e osservazione di fenomeni umani e mediatici di cui l’Italia sovrabbonda.

Abbiamo una graziosa e finta bionda signora che, a quanto ricostruito dalla stampa dopo la bomba lanciata dal sito Dagospia, gravita intorno al potere, in qualche modo, come molte – e come molti da decenni, forse millenni – per motivi strettamente personali. La ragazza è figlia di amici del sindaco di Pompei. E fin qui, nulla di male, quante ragazze e quanti “gigini” hanno fatto i portaborse per anni a titolo gratuito prima di ricevere il miracolo. Gavetta, sacrosanta, in Italia diventa intrufolamento selvaggio. (Certo, non ti pagano, che devi fare?)

Eh si, perché non dimentichiamolo, in Italia ti chiamano dottoressa, come nelle comunicazioni ufficiali rilasciate dal ministro Gennaro Sangiuliano, che i santi li ha nel nome. Il ministro chiama infatti dottoressa Maria Rosaria Boccia, ma poi dichiara di non aver speso per lei neanche un euro di soldi pubblici nemmeno per un caffè. E, di solito, nel Paese del “ti pago in visibilità sui social”, non si spende un euro per te che fai manovalanza gratis, neanche nel “non impiego” privato. In più poi, se sei femmina, arriva subito la battutona, l’appellativo di “esperta pompeiana” per dire a nuora ciò che vuoi che suocera intenda, e a dirlo é niente meno che Paolo Mieli. Perché se devi andare in gita di non lavoro a Pompei, gratis e senza incarico ufficiale di consulente del Ministero per organizzare un evento del G7, perché sei una “non consulente agli eventi”, due più due se sei donna fa sempre quattro. Siamo tutte subito pompeiane esperte. Chapeau al maestro Mieli, la pensione è un miraggio.

Ma su questo sorvoliamo, le battute hanno costruito il maschilismo spinto pater familiare italico da sempre, e noi che non abbiamo paura di fare un esame del cariotipo per determinare se siamo maschi o femmine, e che abbiamo attributi solo figurativi, non abbiamo problemi a riderci su. Salvo poi dover smentire, o vendicarsi, per fatti concludenti: piovono rassicurazioni che l’accompagnatrice ministeriale a titolo gratuito non avesse accesso a documenti sensibili. E qui la pompeiana in questione sbatte online i documenti incriminati. Perché la chiamano influencer, dicono che sia influencer.

Il problema vero è che ormai chiunque pensa di essere qualcuno. In particolare un influencer, che ad oggi ormai – finita l’era di chi parla senza titoli e iniziata quella del “sesso etico” su Onlyfans – è più un marchio di infamia che altro. Meglio quattro gatti selezionati che una massa di assatanati (che però fanno numero e soldi).

Un pasticciaccio bruttino, come quello di aver messo su un pool di ministri non sempre adeguati – o alcuni molto inadeguati, che avrebbero già dovuto dimettersi – che fa acqua da tutte le parti, e che poi ti trovi a dover difendere come a scuola si difendeva il compagnuccio più lento. Giorgia Meloni, in tv da Paolo Del Debbio difende d’ufficio, costretta. Il problema allora è il miracolo: come mai di tanta gente preparata arrivano in certe posizioni centinaia di inadeguati e giovani belle influencer amiche di famiglia, che in qualche modo si trovano al posto giusto al momento giusto? Finito il tempo delle nipoti di Hosni Mubarak, che almeno contrattavano all’ombra delle intercettazioni telefoniche da smentire a suon di milioni, è cominciato quello delle e-mail non ufficiali – che mettono a rischio la cybersecurity nazionale – e i dossieraggi di rimbrotto via Instagram? Neanche fossimo in terza elementare.

Gente, che orrore, riprendetevi. Il rischio di un’occasione di governo sprecata è dietro l’angolo e, come Enrico Letta, non starei serena.

Aggiornato il 03 settembre 2024 alle ore 12:49