Separiamo le carriere della magistratura: più sicurezza alle garanzie

“Populismo carcerario”, “spirito di conservazione e autoreferenzialità”: sono queste le critiche che il viceministro della giustizia Francesco Sisto ha dovuto sollevare verso alcuni atteggiamenti del corpo magistratuale sindacalizzato, al termine di un lungo e articolato confronto con il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Santalucia, nella nota kermesse “La Piazza” a Ceglie Messapica. Nulla di personale, anzi, si parlava di atteggiamenti di corpo istituzionale in generale.

Il 31 agosto durante l’ultima delle tre serate di riflessioni, maieutiche e dibattiti in piazza, organizzati dalla testata affaritaliani.it sotto la direzione e conduzione del direttore Angelo Maria Perrino (di stile giornalistico sapientemente british), in uno dei panel si è parlato di separazione delle carriere della magistratura ordinaria e di riforma delle misure cautelari personali di tipo detentivo. A confrontarsi su questi temi caldi sono stati appunto il viceministro della giustizia, il presidente di Anm e il sostituto procuratore della Repubblica Annalisa Imparato.

Il viceministro auspicava, secondo il programma di governo voluto dagli italiani, la separazione delle carriere per garantire una effettiva terzietà istituzionale del giudice rispetto all’organo del pubblico ministero, il quale ultimo non decide sulle assoluzioni o sulle condanne ma si occupa solo degli aspetti inquirenti-requirenti. Sisto ha inoltre auspicato la disponibilità a discutere insieme e in buona fede i papabili punti di una riforma sulle esigenze cautelari, per poter addivenire in futuro a misure cautelari detentive (carcerarie o domiciliari) adeguate, in modo costituzionale e mai giustizialista.

Santalucia ha replicato con un irremovibile “no” sulla separazione delle carriere, temendo che due Csm (uno dei giudici e uno dei Pm.) al posto di uno solo possano complicare di più la gestione della magistratura; egli ha sostenuto che la terzietà del giudice è già ben realizzata nella situazione attuale dell’ordinamento.

Del presidente di Anm si è pure notato un certo fastidio nel parlare di riforma delle misure cautelari personali detentive. Egli ha sostenuto che gli interlocutori politici da un lato s’infastidiscono quando tali misure cautelari detentive non vengono applicate ai migranti (come è successo di recente), mentre dall’altro lato si infastidiscono quando esse vengono applicate ad altre categorie di soggetti. In quelle altre categorie, malgrado non sia stato espressamente detto, si capisce bene che rientrano i politici e gli imprenditori, e non solo. Tra il pubblico della kermesse cegliese, e più in generale tra gli ascoltatori, i più avranno pensato anche al caso del dimissionario presidente della regione Liguria Giovanni Toti, ritornato libero dopo un periodo di limitazione della sua libertà personale nei lunghi giorni d’applicazione di una misura cautelare ai domiciliari.

Il viceministro non si è lasciato intimorire dall’accusa di doppiopesismo nella critica di una magistratura che applica la misura cautelare personale ai politici ma non ai migranti, e ha controdedotto sostenendo che questo stato di cose è il frutto di una normativa già vigente, mentre lui stava chiedendo proprio la disponibilità a parlare insieme di una nuova e diversa normativa sulle misure cautelari. A tal proposito si è quindi meravigliato dell’accusa di doppiopesismo ricevuta dal suo autorevole interlocutore, e ha rilevato come non si aspettasse questo “populismo carcerario”.

Il sostituto procuratore Annalisa Imparato, invece, non è entrata nel merito della separazione delle carriere, né degli argomenti di specifico dibattito tra Sisto e Santalucia, ma ha egregiamente nonché coraggiosamente lanciato spunti critici verso l’atteggiamento di chiusura che spesso alcune aree del corpo magistratuale assumono, ergendosi sul piedistallo o pensando di avere a prescindere ragione nel volersi conservare, ovvero nel pretendersi esenti dal diritto di critica legittimamente esercitabile da giornalisti e cittadini.

Veniamo a noi, appunto, giornalisti e cittadini.

Nel perseguire l’interesse generale di tutti gli individui ad avere una giustizia istituzionalmente giusta, non possiamo ritardare e nemmeno ostacolare la separazione delle carriere della magistratura ordinaria. Dobbiamo promuovere la cultura delle garanzie con la separazione delle carriere. Subito.

Sono maturi i tempi affinché i giudici e i Pm siano istituzionalmente riferibili a organi diversi, che ne garantiscano autonomia e indipendenza in modo utile alla sana vita liberaldemocratica dello Stato di diritto garantista. Occorre che gli spazi legali ed istituzionali dove promuovere le carriere dei giudici e dei Pm siano distinti e differenti, divisi; non è più possibile una (magari) inconscia ed irriflessa, biunivoca influenzabilità di funzioni, tra il settore giudicante e quello inquirente-requirente della magistratura italiana.

Il ddl costituzionale (“Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”), presentato alla Camera dei deputati il 13 giugno 2024, attribuisce la materia disciplinare per i magistrati ordinari ad un’Alta Corte, composta di quindici giudici. Nove di tali quindici giudici saranno magistrati estratti a sorte – sei giudicanti e tre requirenti – che svolgono, o hanno svolto in passato, funzioni di legittimità; e i restanti sei giudici, invece, saranno professori ordinari di università o avvocati nominati, nel numero di tre, dal Presidente della Repubblica e sorteggiati in pari numero dal Parlamento con criteri analoghi a quelli previsti per i due neo-istituendi Csm.

Il fatto che nel settore disciplinare voluto dai riformatori di governo i giudici e i Pm ritornino insieme all’interno di un’Alta Corte composta da diverse anime – fatto che è stato criticato da Santalucia come contraddittorio rispetto allo spirito separatista – attiene ad un profilo diverso. È stato infatti ritenuto opportuno far tornare uniti giudici e Pm soltanto negli affari eventualmente patologici di un percorso funzionale dove ordinariamente saranno separati; ma nella gestione delle nomine o degli avanzamenti di carriera, i soggetti istituzionali devono necessariamente rimanere distinti e diversi, sempre separati. E così sarà. A prescindere, il potere giudiziario organizzato meta-sindacalisticamente non è contrario solo alla composita Alta Corte disciplinare, bensì al concetto stesso di separabilità delle carriere della magistratura ordinaria: e questo è un fatto imprescindibile nella dialettica che in questa estate – anzi, da sempre – si agita tra i vari poteri dello Stato italiano.

Occorre separare le carriere, per garantire ex ante, durante ed ex post ai procedimenti d’indagine e ai processi la giusta, inalienabile serenità sulla terzietà del giudice, per chi da presunto innocente viene sottoposto a iter pubblici d’accertamento sui fatti. Se ad accertare i fatti, sullo scranno della pubblica accusa e su quello del giudicante, continueranno ad esservi persone appartenenti ad un unico ordine giudiziario con un Csm monolitico, la giustizia continuerà ad esser posta quotidianamente alla mercè ordinamentale di un rischio umano più elevato. Il rischio che presenta l’attuale Csm monolitico, pur nella bravura dei tantissimi magistrati, è un rischio connaturato nonché intrinseco alla medesimezza della fonte produttrice degli agglomerati correntizi, sottesi alle carriere personalizzabili dell’attuale magistratura ordinaria.

Se l’Anm ritiene che non esista questo rischio, nessun problema: l’ordinamento costituzionale garantista con la separazione delle carriere si doterebbe di una garanzia in più per tutti-tutti (nessuno escluso).

A voler aulicizzare per un momento i toni in modo ironico, cito un filone culturale non in sintonia con il mio razionalismo empirico. Spero sia gradito nel recare un sorriso a tutti-tutti, nel bel mezzo del campo di confronto. Solitamente scomodo Voltaire e Montesquieu. Ma stavolta, ironicamente, scomodo Blaise Pascal.

Si faccia un po’ come la scommessa pascaliana: voi scommettete, se Dio esiste ben venga, avete vinto la scommessa al termine della vita, altrimenti se Dio non esiste avete comunque vissuto – e lasciato vivere – meglio le persone. Se il rischio di commistione nella unicità delle carriere dei magistrati ordinari esiste, scommettete bene sulla separazione delle carriere nella buona fede d’intenti dei cittadini; se il rischio dovesse non-esistere, avrete comunque dato più sicurezza ai cittadini quanto alla giustizia giusta da esercitare in nome del popolo italiano nelle vite concrete, in carne ed ossa e spirito degli individui, presunti innocenti fino all’ultimo grado di giudizio.

In tema di garanzie vive dello Stato di diritto, meglio una garanzia in più che una in meno, soprattutto se quella garanzia è connaturata alla natura stessa dei soggetti che dovrebbero applicare la legge. Separiamo le carriere, nella buona fede comune di tutti. Tutti-tutti.

Aggiornato il 04 settembre 2024 alle ore 09:35