Il nodo politico della presidenza Rai

Il cammino per cambiare l’Italia sarà accidentato ma necessario. Il primo tassello messo a punto alla ripresa dell’attività di governo è quello del bilancio che dovrà essere una legge ispirata al buon senso e alla serietà, con provvedimenti per le famiglie e le imprese. “Stop quindi alle stagioni dei soldi gettati dalla finestra e dei bonus” ha precisato la premier Giorgia Meloni al Consiglio dei ministri di venerdì 30 agosto, seguito dal summit a quattro con Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi, che ha delineato i tratti principali della manovra 2025. Il documento dovrà ottenere il via libera dal Parlamento prima di essere presentato a Bruxelles entro ottobre.

C’era attesa per le altre partite che hanno fatto registrare tensioni tra gli alleati durante l’estate: concessioni balneari (l’Europa chiede di applicare la direttiva Bolkestein aprendo il mercato alla concorrenza), immigrazione (modifiche alla Legge Bossi-Fini) e Ius scholae, nonché la preparazione dei canditati del centrodestra per le prossime elezioni regionali. Ribadito “il patto di coalizione”, i riflettori dell’opposizione e del mondo dell’informazione sono puntati sulle decisioni che l’Esecutivo dovrà prendere in merito alla governance della Rai. Dal vertice non è uscita alcuna determinazione ma gli sherpa hanno lavorato con intensità per mettere a punto lo scenario che guiderà l’azienda pubblica di viale Mazzini per i prossimi 4 anni.

Serviranno 15-20 giorni per trovare una soluzione che, quasi sicuramente, non darà un assetto definitivo, dopo il fuoco di sbarramento delle opposizioni che chiedono di rivedere le norme di nomina dei vertici, che vennero fissate nel 2017 dal Governo Renzi. In materia, c’è un ricorso al Tribunale amministrativo regionale, la cui udienza è fissata per il 23 ottobre. Il problema principale da sciogliere è politico. Per eleggere il presidente dell’azienda occorrono i due terzi dei 40 componenti della Commissione parlamentare di vigilanza. Il centrodestra non ha i numeri sufficienti. Mancano tre voti. Propone però un personaggio come Simona Agnes, già consigliera uscente e riconosciuta ampiamente degli ambienti della comunicazione come una affidabile ed esperta dei sistemi radiotelevisivi. Non manca poi l’appoggio trasversale di Gianni Letta.

Ciò non basta per la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, che ha alzato le barricate contro qualsiasi nome designato dal centrodestra, nonostante i Dem – come  ha osservato Bruno Vespa – abbiano da sempre una posizione egemone – tra i giornalisti, i dirigenti d’azienda, tra i tecnici e i dipendenti – e controllino la rete e il Tg3, la Federazione della stampa e il sindacato Rai.

Scelti dalla Commissione di vigilanza, il 12 settembre, i quattro membri del Cda (uno a FdI e uno alla Lega, mentre gli altri due al Pd e al M5s, che ha anche la presidenza della vigilanza). Per il resto, escono da Palazzo Chigi voci e assicurazioni di “unità e compattezza”. Nel senso che l’indicazione di Giampaolo Rossi ad amministratore delegato, da dirigente, non è messa in discussione, che Matteo Salvini e il Carroccio potrebbero portare a casa il direttore generale (in pole un tecnico di area leghista) oppure la direzione del daytime o dell’approfondimento, che il canone a 70 euro l’anno non verrà modificato mentre andranno avanti il piano industriale e la ristrutturazione del palazzo di viale Mazzini.

La maggioranza di centrodestra non intende per ora spostare la palla in avanti. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha già i due nomi che gli competono. I nodi vanno sciolti al più presto, per affrontare i dossier delle torri (fusione Rai Way ed EiTowers di Mediaset) e degli introiti per finanziare gli investimenti tecnologici.

Aggiornato il 02 settembre 2024 alle ore 13:55