La banalità di Vannacci secondo Chesterton

“La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. Sarà una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto”.

Così scriveva il grande Gilbert Keith Chesterton, nel suo Eretici, nell’ormai lontano 1905. Nessuna frase è stata più profetica e vera attualmente di questa. Basta guardarsi attorno e avere il coraggio di non essere né ipocriti né servi di alcuna ideologia per farla propria. Siamo ormai nel campo del “banale”, “dell’ovvio” persino dello “scontato”, ma se dobbiamo affermare questo allora bisogna avere il coraggio di farlo, per mero e semplice “buon senso”. Borghesia? Uomini comuni? Qua siamo giunti non al “transumano”, ma al “subumano”, al di sotto del “troppo umano” di nietzschiana memoria.

Pensavo tutto questo riflettendo sul bestseller del generale Roberto Vannacci che tanto scalpore ha suscitato proprio in virtù delle tesi “ovvie”, “banali” ma di “buon senso”, in esso contenute. Sul clamore suscitato per ragioni che, se evidenziate qua, porterebbero via troppo tempo, ma che sarebbe interessante spiegare a un pubblico superficiale e disattento anche sull’editoria nostrana. Lo faremo, se sarà il caso in altra occasione, perché le notizie “culturali” di questi giorni di fine agosto ormai vertono per lo più sul vero e proprio continuo gossip di non altissimo profilo, riguardante le mirabolanti ed entusiasmanti vicende del nostro ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano e la sua presunta, biondissima e agilissima, “consigliera” pompeiana (parrebbe mai nominata tale secondo le dichiarazioni ufficiali ministeriali) Maria Rosaria Boccia.

Detestando ogni forma di pettegolezzo scandalistico non ne parlerò, trovando comunque tutto ciò al limite di una pochade da film anni Settanta, di quelli belli, divertenti, come non se ne fanno più per via dell’onnipresente e castrante “politicamente corretto”. Lasciamo questo lavoro – qualcuno deve pur farlo – alla fonte migliore di tutto ciò che è sempre Dagospia e andiamo oltre seppur restando sempre in area. Mentre nubi di tempesta si addensano all’orizzonte autunnale per il nostro Paese, che ha assunto un aspetto ormai imbarazzante i quasi tutti i campi e non soltanto nel settore culturale che comunque riveste un interesse minimo per questo Esecutivo (mai trattato per trent’anni) fatto di cerimonie d’inaugurazione (giustissime e plaudibili alcune, altre meno), red carpet, convegni e simposi. “Tutto è vanità”, recita l’Ecclesiaste, ma in questo caso alla vanità si aggiunge la pressoché totale assenza di qualsiasi progettualità, di qualunque visione, di una pur vaga forma di strategia o di tattica che abbiano a che fare con la cultura italiana nel mondo. Culturalmente questo esecutivo appare “rozzo”, passatista credendo di essere futurista, fermo, bloccato e immobile illudendosi di essere conservatore. Intanto, una sinistra altrettanto debole, priva di qualunque altra idea che non sia il solito refrain lgbtqwerty, simula un’opposizione di comodo. Rimpiango Achille Occhetto e la sua “gioiosa macchina da guerra”, e forse per questo provo sincera simpatia per il compagno Marco Rizzo.

Anche per questo avrei voluto vedere una destra diversa, una destra dove le parole onore, dignità, decoro, cultura, saggezza, forza, bellezza, tradizione, orgoglio e molte altre avessero significato ancora profondo... e non basta sempre citare Il Signore degli anelli o La storia infinita, perché c’è molto di più anche se pochi lo sanno. Anche la nuova formazione politica di Gianni Alemanno sembrerebbe essere portatrice della stessa “mancanza”, almeno sino a oggi non ci sono giunti segnali di una vera e propria creazione di basi e di progetti culturali. Cosa che invece, e so che sorprenderà alcuni – non solo i detrattori – sembrerebbe essere nelle corde e nelle intenzioni proprio de Il mondo al contrario, il movimento culturale e forse presto politico, che segue il vituperatissimo (anche da destra, fidatevi) generale Vannacci, come si evince dalle seguenti parole che mi sono permesso di estrapolare da un post del colonnello Fabio Filomeni, tra i più stretti collaboratori del neo parlamentare europeo, già comandante del 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin”: “Lo so, conservatore è una parola che puzza di stantio, che sa di retrogrado, di destra e forse anche di fascismo. Ma essere conservatori non significa necessariamente essere di destra o di sinistra. Conservatore è uno che vuole conservare qualcosa, ma per poter conservare qualche cosa, bisogna che un individuo, una classe o un popolo siano anche in possesso di qualche cosa e che la sentano propria. Ecco che per il vero conservatore, il patrimonio da conservare non è rappresentato tanto dai beni materiali quanto dal mantenere intatte le proprie caratteristiche di usi, costumi, di lingua, di razza e di religione. In altre parole, le nostre radici. Il conservatore vuole essere sabbia nell’ingranaggio del progresso sfrenato che intende travolgere il patrimonio di tradizioni e culture su cui è stato costruito il mondo a cui egli appartiene. Quel mondo che adesso, per forza di cose, noi conservatori vediamo ribaltato al contrario, da cui il titolo del famoso libro Il mondo al contrario. Un progresso ideologizzato che vede il delirio europeo green applicato alle nostre case, i campi da coltivare pieni di pannelli solari o i paesaggi più incontaminati deturpati da gigantesche eliche in movimento. Un progresso che vuole darci come ineluttabile la trasformazione etnica della nostra società attraverso l’immigrazione incontrollata, evento presentato come panacea per salvare le pensioni di chi ha lavorato una vita versando contributi allo Stato. Ecco che scrivere in favore di un ambientalismo pragmatico, mettere a nudo il paradigma della società multiculturale e multietnica, pretendere più sicurezza nelle nostre città, valorizzare la famiglia naturale o tradizionale o svincolarsi dalla morsa del politicamente corretto per denunciare la dittatura delle minoranze sedicenti progressiste che scambiano diritti per capricci, tutto questo è diventato paradossalmente la rivoluzione del conservatore”.

Allora, cosa scriveva il buon Chesterton nel 1905? Pensate, prima che nascesse il Futurismo...

Aggiornato il 02 settembre 2024 alle ore 09:54