Sfida per amnistia e indulto

A mali estremi… estremi, ma costituzionali, rimedi. Cioè non prendendosi in giro data l’attuale situazione carceraria ‒ testimoniata ove ce ne fosse ancora bisogno, dalle visite in carcere per tutto il mese di agosto del Partito radicale di Maurizio Turco e di Forza Italia, del volenteroso Antonio Tajani – non esiste alcuna soluzione possibile che non passi da un provvedimento di clemenza di quelli suggeriti dalla costituzione più bella del mondo.

Lo diceva in privato a chi scrive anche il compianto garante nazionale delle carceri Maurizio D’Ettore, prematuramente e tragicamente scomparso alcuni giorni orsono.

Non osava dirlo in pubblico perché la situazione dei calcoli della attuale congiuntura della demagogia politica è quella che è. Ma tutti sanno che non è assumendo 1000 agenti in più che si risolve il problema: “Che fanno mettono i detenuti a casa degli agenti?”, è la cinica battuta che circola tra gli addetti ai lavori.

Le carceri italiane ormai fanno talmente orrore e schifo che ci si suicidano anche coloro che ci lavorano, e non da ieri, cioè gli agenti di custodia. Otto dell’inizio dell’anno. Quindi uno al mese. Dei 63 detenuti suicidi ovviamente non frega niente a nessuno e quindi quasi inutile menzionarli. Anche perché il garantismo notoriamente i partiti lo esercitano verbalmente – per carità ‒ solo quando un loro esponente finisce nei guai con la giustizia. Ma lì la cosa finisce.

Data l’attuale situazione costituzionale, voluta dai corifei di Di Pietro e di “mani pulite”, e cioè che occorrerebbe una maggioranza di due terzi in Parlamento per varare amnistia e indulto, l’ideona che potrebbe venire al capo del governo attuale, Giorgia Meloni, potrebbe essere la seguente: sfidare la Lega e la sinistra del campo largo a Cinque stelle. Lanciando a tutto il Parlamento senza nascondersi dietro un dito il guanto di questa sfida su amnistia e indulto.

Un problema pratico si risolve pragmaticamente non con le attuali improvvisate ideologie schiave del consenso e dei social.

Se la Meloni osasse tanto, da una lato metterebbe in minoranza Salvini nel governo, visto che Forza Italia sarebbe senz’altro disponibile, e dall’altra frantumerebbe questa buffonata del campo largo trasformandolo nel campo santo delle opposizioni.

Prima controindicazione: Salvini farebbe cadere il governo su questo? Bell’azzardo. Fino a che punto sarebbe capito dai suoi fan? Uno che sfascia il paese per non risolvere il principale problema della giustizia penale italiana se la rischierebbe non poco alle elezioni. E per lui con sta trovata di Vannacci già si è posto il problema del “cavallo di Troia”.

Seconda controindicazione: la sinistra farebbe muro con i grillini dopo avere tanto cianciato della disumanità delle carceri che anche loro nei precedenti governi per bassi motivi elettorali – vedi riforma Orlando non attuata da Gentiloni alla vigilia delle elezioni del 2018 ‒ avevano contribuito al 90 per cento a renderle quel che sono oggi? Improbabile anche questa opzione.

A ben vedere questa sfida del terzo tipo – dell’irrealtà ‒ che la Meloni se avesse un piccolo scatto di follia politica potrebbe lanciare sarebbe un’opzione cosiddetta “win win”. Da una parte si potrebbe mettere a cuccia l’infido alleato leghista che fra un po’ finirà in braccio al nuovo partito del generale Vannacci. Dall’altra getterebbe in confusione la sinistra che non saprebbe a quale santo votarsi.

E anche se alla fine non se ne facesse nulla, la Meloni potrebbe dire al suo elettorato, allargato a questo punto potenzialmente anche ai pragmatici moderati del centro e persino della sinistra: “Io ci ho provato ma questi hanno le proprie bandierine da tenere piantate e non mi hanno aiutato a risolvere pragmaticamente il problema”.

E alle urne gli elettori potrebbero “paradossalmente” premiarla. Ulteriormente.
Mentre se tutto continuerà ad essere lasciato andare in vacca come accade oggi, accadeva ieri e purtroppo potrebbe accadere anche domani, premi non ce ne saranno di sicuro. Per nessuno. 

Aggiornato il 29 agosto 2024 alle ore 10:08