La sinistra italiana non perde mai il pessimo vizio dell’essere come il ben noto Maramaldo (sì lo stesso personaggio che darà il nome alla canzone Maramao perché sei morto, pane e vin non ti mancava) e quindi, oltre che “uccidere un uomo morto”, è in grado di infierire sparando sulla Croce rossa. Applicare questa tecnica sulla politica culturale dell’attuale Governo è diventato quindi, per loro, lo sport nazionale. Il fatto incontestabile è che, però, sebbene ciechi e sordi sui loro madornali errori commessi dal secondo Dopoguerra a oggi, a volte i progressisti colpiscono il bersaglio.
Un caso di questi giorni è la lamentazione fatta dall’assessore alla Cultura di Livorno, Simone Lenzi, al riguardo del disinteresse da parte dello Stato al suo Festival Mascagni, imperniato nel ricordo di Pietro Mascagni. L’assessore fa notare come il famoso compositore italiano, autore dell’opera Cavalleria rusticana, non abbia un evento a lui dedicato nella sua città natale, come tanti altri suoi pari, da Giuseppe Verdi che lo ha annualmente a Busseto sino a Gioacchino Rossini che viene regolarmente rimembrato nella bella Pesaro. In più, aggiunge, a far sì che il Ministero dei Beni culturali si debba a maggior ragione occupare di Mascagni, c’è che il compositore fu assolutamente e dichiaratamente fascista, con tanto di tessera. Sì, perché seppur con i doverosi “ma” e i necessari “perché”, molti furono gli artisti, scrittori e altro fedelmente “di regime”, restando comunque sempre liberi di esprimersi. Ciò che il nostro buon assessore non ha intuito, è che proprio in quel fatto sta il busillis.
Se il Ministero desse un simile avallo, allora, in un unico coro senza distinzioni, quasi certamente la sinistra tutta insorgerebbe, additandolo di favorire un artista fascista, esaltandone la memoria e l’operato. Lo farebbero, siatene certi. E dunque la destra attuale, che da sempre mantiene un profilo basso in questo campo, per non svegliare il can che (non) dorme, per la sua atavica paura di essere considerata “fascista”, per il suo genoma che comporta un irrimediabile complesso d’inferiorità culturale nei confronti dei progressisti, preferisce glissare e tacere.
Ovviamente, così facendo, il Governo meloniano perde ulteriore forza e credibilità, laddove avrebbe dovuto affermare il valore di un artista di là da ogni credo politico, un po’ come sta facendo nella sua duratura esaltazione di Antonio Gramsci, tra libri e mostre. Ah, già: Gramsci era un marxista convinto, non si corrono rischi di apologia del Ventennio. Giusto. Ineccepibile. Mascagni s’arrangi, lui e la sua Cavalleria rusticana.
L’altro attacco alla cultura istituzionale arriva da un uomo dell’arte di sinistra che non ha mai goduto della mia personale stima, ma che innegabilmente ha lasciato una traccia, seppur da chi scrive non condivisa, nell’immagine del nostro Paese e non solo, che è il fotografo Oliviero Toscani. Toscani, dal suo punto di vista, liberamente esprime un giudizio negativo su questo Esecutivo, continuando a reiterare la solita nenia dell’antifascismo dichiarato e non dichiarato. E quindi, ritenendo sillogisticamente tale silenzio un’affermazione di filofascismo, lo rifiuta. Padronissimo di farlo, altrettanto padroni noi di infischiarcene. Dire che questo monocorde refrain ci sia venuto a noia oltremisura ci pare superfluo, è il leitmotiv di una sinistra ormai agonizzante, priva di idee e di contenuti, che si aggrappa a ripetere ossessivamente un mantra laico che non interessa più nessuno, se non i soliti militanti dei centri sociali. Perciò, anche qui, il monotono assalto all’impreparazione culturale del ministro Gennaro Sangiuliano alla fine sa soltanto di cosa già vetusta, troppo sentita per avere un vero mordente. Nulla di nuovo: una sinistra obsolescente e tracollante. E una destra che non vuole decollare per troppo timore, se non magari dopo un discreto ma efficace rimpasto ministeriale.
Infine, da ultimo La Verità intervista l’ottimo Flavio Caroli, che in maniera saggia e largamente condivisibile riafferma anche lui (sì anche lui perché come tanti tra noi lo stiamo facendo, inascoltati, da decenni) l’importanza della centralità dell’arte nel settore culturale nel nostro straordinario patrimonio, la bellezza come necessità per un mondo in pace e, giustamente, vitupera il troppo poco spazio dato da questa classe politica alle idee per valorizzare il nostro patrimonio artistico, sostenendo che il nostro Paese sia ancora in grado di creare cultura.
Anche qui stiamo ripetendo da troppo tempo le stesse cose, il che è segno che qualcosa non va nell’Amministrazione, ma a differenza di altre critiche non costruttive, le nostre si reiterano per necessità, visto che non vengono mai ascoltate né prese in considerazione. Se a dire qualcosa che riguarda l’estetica, l’arte, la bellezza e via così, è qualcuno dalla rive gauche allora l’attenzione si punta su di lui (o lei,) altrimenti si finge di non aver sentito. Così, invece di far tesoro e saper sapientemente e anche scaltramente, in maniera intelligente, utilizzare le risorse culturali, artistiche e intellettuali a sua disposizione, questo “dittatoriale Governo reazionario e conservatore, quindi fascista” con a capo Giorgia Meloni (anno di nascita 1977, lo ricordo per i più distratti) le ignora totalmente, obliandole in un angolo lontano, fuori da ogni visione ad ampio spettro e di lungo tempo. Non vorrei avessero ragione Marcello Veneziani e Massimo Cacciari: chi può faccia i debiti, apotropaici, scongiuri.
Aggiornato il 08 agosto 2024 alle ore 11:01