Scampia

Parlare delle Vele di Scampia, come del Serpentone di Corviale a Roma o delle Lavatrici di Genova (ma di esempi, purtroppo, ve ne sono molti), vuol dire parlare dei danni arrecati dal marxismo in modalità calce&martello degli anni Sessanta-Settanta. Difatti ogni qualvolta l’ingegneria civile ha fatto il paio con l’ingegneria sociale l’esito è stato pressoché nefasto. Se la chimera comunista vedeva in questi complessi edilizi un laboratorio sociale nel quale plasmare una società egualitaria, una volta che la distopia prendeva forma emergevano inesorabilmente degrado, squallore ed emarginazione. Questi, in estrema sintesi, erano gli effetti dell’inclusione buonista d’allora. I numerosi ballatoi, i porticati infiniti, le terrazze enormi erano tutti spazi comuni che, nelle intenzioni di principio, dovevano fungere da luoghi di collettivizzazione. Ergo, l’interazione sociale vista non come il frutto dello spontaneismo nelle relazioni umane, bensì come la conseguenza di un decisionismo calato dall’alto. E, mentre gli architetti e gli urbanisti di matrice intellò idealizzavano paradisi per poi realizzare inferni, negli stessi anni un imprenditore brianzolo modellava il buon senso dell’abitare chiamandolo Milano Due. Un quartiere dove gli stilemi classici della città venivano diluiti in un contesto di verde urbano gradevolissimo, un angolo meneghino in cui si potevano godere gli agi di una vita immersa nella natura assieme alle funzionalità tipiche dei servizi offerti da una metropoli. Scampia e Milano Due. Realizzati negli stessi anni. L’alveare urbano e la città costruita attorno alla singola persona. Dopo quasi mezzo secolo non è difficile capire quale modello regga la sfida del tempo.

Aggiornato il 25 luglio 2024 alle ore 15:22