Bisogna essere aristocratici, non solo conservatori

La “gioiosa macchina da guerra” gramsciana si è da lungo tempo applicata alla comunicazione e quindi anche agli “uffici stampa”, in una maniera pervicace ed efficace che invece la destra attuale fatica a seguire, dimostrandosi quest’ultima spesso improvvisata e quasi dilettantesca anche in tale campo. Anche in questo settore non da poco, visto che è il tramite con il quale le notizie vengono trasmesse al vasto pubblico, non siamo certo ai tempi del Minculpop dell’esecrato Ventennio. Eppure chi scrive, per primo, saprebbe indicare a chi governa almeno una mezza dozzina di eccellenti giornalisti, anzi per la maggior parte donne giornaliste, che saprebbero compiere egregiamente questa fondamentale attività e che invece restano sempre nell’ombra, eclissate da molti, anche uomini, meno capaci. Resto un convinto assertore della superiorità femminile in molti campi. Lo confesso apertamente da sempre e senza alcun bisogno di “quote rosa”, perché sono la competenza con il talento e con la capacità a dimostrare chi valga e chi è men che modesta, non il genere sessuale. Sì, perché un’altra delle cose di cui non mi capacito è come l’attuale premierato, capitanato da una donna indubbiamente forte, non abbia valorizzato di più proprio le risorse femminili valide a sua disposizione, soprattutto negli abiti della cultura e della comunicazione.

Umanamente non riesco a non provare simpatia per il ministro Gennaro Sangiuliano. Se non esistesse avrebbero dovuto inventarlo e sottrarre così a Maurizio Crozza un altro dei suoi “personaggi”. Personalmente, al suo posto, avrei ben visto da sempre una donna e no. Non ne farò il nome in questa sede, non sarebbe da cavaliere e l’intelligenza e la cultura, l’amabilità e la capacità professionale delle persone meritano sempre un aristocratico rispetto. Dico non a caso aristocratico, ovvero “dei migliori”. Perché un altro elemento di cui è carente questa nostra destra “conservatrice” è proprio l’aristocrazia. Il che non significa sventolare blasoni con tante palle, bisanti e altre pezze onorevoli, né più di tre cognomi quali quelli della ben nota contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare o l’ammantarsi di cavallereschi quanto improbabili ordini, ma significa distinguersi dagli altri per il pensiero, per la cultura, per l’eleganza (non soltanto quella formale: non è il papillon a fare il signore qual era il compianto Philippe Daverio) e per la capacità di trasporre e creare idee.

Anche in questo caso, potrei fare nomi che non farò, perché nessuno di loro ha bisogno della mia pubblicità. Il problema semmai è di chi non li conosce e allora, come diceva il principe Antonio De Curtis, in arte Totò: “S’informi!”. Al tempo di Lorenzo il Magnifico, papi e banchieri, principi e cardinali, ma persino i ricchi bottegai cittadini, avevano una dote oggi andata perduta: la capacità di capire il talento altrui che li avrebbe resi grandi, utilizzando i migliori artisti e ingegni a loro disposizione. Questa capacità intellettiva e per nulla sovrannaturale, sembra essere ormai da lungo tempo assente tra le fila dei politici della Seconda e Terza Repubblica, mentre ancora sino ai primi anni Novanta nei “vecchi” se ne trovava traccia. Forse perché appartenevano a una generazione più colta, forse per mille altri motivi, fatto sta che adesso a parole si vantano il “merito” e la competenza, ma nei fatti contano soltanto la militanza o l’amicizia estesa sino al parentado di tredicesimo grado. E non soltanto a destra, si badi bene.

Ecco che è evidente che se si fosse applicato tale “pseudonepotistico” principio, non avremmo mai avuto nessun Rinascimento. Finché verrà privilegiato il “compenso” (che è giusto ci sia, badate bene) rispetto alle capacità indiscusse, sarà difficile avere a disposizione le migliori menti in campo culturale, pertanto la soluzione è semplice quanto difficilmente attuabile se non con una vera e propria “rivoluzione copernicana” insita nelle stesse file partitiche. Non si tratta di rimuovere i politici dai loro incarichi, si tratterebbe semplicemente di far sì che essi comprendessero che un saggio, sapiente “utilizzo” delle forze intellettuali, culturali e artistiche, porterebbe indubbi vantaggi alla politica e alla collettività tutta, favorendone le virtù e la vita sociale dal più alto gradino sino al più infimo. Utopia? Sogno? Illusione? No, nulla di irrealizzabile ma bisogna volerlo, volerlo fortemente con i fatti, con le azioni e non soltanto con gli slogan da campagna elettorale. Noi restiamo qua, a osservare e a far notare come il passato e la storia insegnino, se conosciute, a migliorare il presente e il futuro, purché si mettano da parte i personalismi e le partitocrazie. Insomma, soltanto un’aristocrazia dello spirito può salvare questa nostra, un tempo, splendida Italia.

Aggiornato il 24 luglio 2024 alle ore 10:35