Sull’ipotesi di alleanza tra Renzi e il Campo largo della sinistra

La domanda ormai è diventata una sorta di tormentone estivo, sebbene in tal caso si parli di politica e non di musica. Ovvero: cosa vuol fare da grande Matteo Renzi? La persona è politicamente scaltra, contraddistinta da un serbatoio di cinismo niente male, e sia detto senza offesa, anzi: in politica, questo è bene pressoché primario. Ma, al di là della tattica, praticata senza particolare parsimonia, è la strategia a latitare. E, anche quando è presente, il fine ultimo pare essere l’autoconservazione della sua creatura partitica più che l’aspirazione massima di qualunque politico che miri a diventare statista. Vale a dire, plasmare la propria visione politica nella contingenza della realtà, al netto dei compromessi pressoché fisiologici rispetto ai quali il riformismo – a differenza delle ideologie sempre massimaliste – è assai inclusivo. Tradotto: principi costantemente saldi, dettagli adattabili a seconda delle circostanze e degli interlocutori. Purché quest’ultimi abbiano però un minimo comune identitario, che non consista solamente nelle posizioni antitetiche rispetto al fronte avverso.

Matteo Renzi, a differenza di altri esponenti di Italia viva, penso ad esempio a Luigi Marattin, più che un liberale può essere definito un politico pragmatico, decisamente post-ideologico, che purtuttavia non lesina alleanze al limite dell’ossimoro concettuale con esponenti di movimenti e correnti di pensieri ormai rottamati dalla Storia. E non solo sul piano teorico, finanche da un punto vista squisitamente empirico. Alleanze peraltro modellate sulla falsariga di esempi bollinati come coalizioni fallimentari. Detto in altri modi: si parla di campo largo o larghissimo ma in fondo si scrive Unione, un patto che mise assieme oltre dieci partiti, distinti e politicamente pure distanti, stipulato con il solo scopo di battere il centrodestra allora guidato da Silvio Berlusconi. Al tempo, per formalizzare una convergenza d’intenti che, nei fatti, era pressoché nulla, venne allestita addirittura una fabbrica del programma che partorì un tomo di centinaia di pagine dove ogni tematica fu diluita in un profluvio di parole al fine di sterilizzare ogni singola presa di posizione. Il tutto, ripeto, per detronizzare il Cav.

Obiettivo che riuscì, però si sa, o quantomeno si dovrebbe sapere: i voti non si prendono per vincere, ma per governare. E, invece, quest’ultimo infinito non venne mai contemplato da quel caravanserraglio partitico. Portando tale schema alla contemporaneità storica, a Italia viva dovrebbe essere riservato il ruolo che, al tempo, ebbe la Margherita di Francesco Rutelli. Ergo, questo sta a significare almeno due cose. Primo. La Margherita era la corrente del progressismo più prossima a una sensibilità cattolico-democratica che, assieme ai Democratici di sinistra, sarebbe poi confluita nel Partito democratico andando definitivamente a elidere il trattino posto fra la parola centro e il termine sinistra. Se Italia viva diventasse una specie di Margherita 2.0 vorrebbe significare che il Pd ha subito un processo reazionario in cui il socialismo, l’ambientalismo e il radicalismo hanno fagocitato le timide aperture riformiste e liberal(i) presenti al suo interno.

E questo porta alla seconda questione. Quali possibilità di manovra potrà avere Renzi qualora i numeri gli consentiranno di esistere? Gli toccherà trattare con un partner dall’identità difficilmente intaccabile, con un peso percentuale nettamente superiore e con gli altri partner dell’alleanza ancor più distanti politicamente. Su quali punti programmatici verrà impiantato il destino dell’alleanza? Sono quesiti, oserei dire, basilari se l’intento immediato è quello di abbozzare uno straccio di strategia futura. Certo, le alternative al campo largo sono poche e per di più di difficile attuazione. La corsa solitaria, il recupero della costruzione di un Terzo polo oppure, malgrado al momento si tratta per lo più di un ragionamento meta-politico, un graduale avvicinamento a Forza Italia. Prima però di compiere qualunque passo, tipo quest’ultimo, è opportuna una diagnosi identitaria scrupolosa e onesta per scandagliare a fondo i motivi del proprio esistere e, va da sé, del proprio posizionamento nello scacchiere politico. Per capire cosa vuol significare essere lib-dem oggi in Italia, qual è il perimetro di azione e se le proprie coordinate valoriali si discostano molto da quelle di un’area lib-con di cui Forza Italia dovrebbe auspicabilmente far parte.

Aggiornato il 22 luglio 2024 alle ore 12:02