Alla fine dei conti la piazza di Genova a qualcosa è servita. Mettiamola così: quel palco giustizialista è parso come una sorta di “provvida sventura” manzoniana. Perché, se non altro, è servito a fare chiarezza, a tracciare un confine netto tra due campi. Quello larghissimo – sebbene mi auguro si possa restringere un poco per un sussulto di buon senso e dignità da parte dei cosiddetti moderati – che fa capo al centrosinistra e quello fin qui più aderente – checché ne dica il solito mainstream – al dettato costituzionale, rappresentato dai partiti facenti pare della maggioranza governativa. Ora, lungi da me porre la dicotomia su di un piano morale o addirittura etico, trasfigurando il tutto in una sfida messianica del bene contro il male, ma almeno mi sia consentito di riversare la duplice posizione in chi si registra nel codice valoriale di una civiltà giuridica degna di tale nome e chi, per interesse contingente o per ignoranza latente, non sa distinguere la cultura del sospetto da quella del diritto.
Forse i progressisti non hanno chiaro qualche concetto di norma elementare. Accanirsi contro Giovanni Toti implica avvalorare la tesi secondo la quale un’inchiesta – qualunque essa sia – ha il potere di disconoscere la legittimità di un ruolo politico-istituzionale. Un ruolo che oggi magari è connotato a destra, ma un domani chi può garantire che questo non si collochi a sinistra? Va da sé che qui vige imperituro il monito di Pietro Nenni sulla competizione tra i puri. Ergo, solamente il corpo elettorale ha la facoltà di confermare o meno, in sede di suffragio, una carica politica. Non altri. Ivi compresa la magistratura. Per di più, la prassi dovrebbe assegnare al destino carcerario solamente chi è ritenuto colpevole dopo il terzo grado di giudizio e non prima che questo si svolga. Il dibattimento processuale non è una liturgia esornativa del nostro impianto giurisprudenziale, bensì il principio cardine che distingue gli umani da qualcos’altro.
Fa specie vedere una tale asprezza nei confronti di Toti – il quale, repetita iuvant, è presunto innocente fino a sentenza passata in giudicato – quando è stato utilizzato tutt’altro approccio, nonché una ben più accomodante grammatica politica nel caso di Ilaria Salis, già collezionista di un poker niente male di sentenze definitive. È vero, vorrei che Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia fossero maggiormente proattive nella difesa delle garanzie costituzionali del presidente della Liguria. Ma tra un giustizialismo squadernato senza alcuna remora e un garantismo comunque praticato in pensieri e parole non ho dubbi su dove posizionare la mia persona e la mia coscienza.
Aggiornato il 19 luglio 2024 alle ore 11:04