Quale presidente preferite tra Joe Biden ed Emmanuel Macron? Il primo che appare obnubilato, o il secondo che gode di salute mentale apparente? In realtà, la domanda da farsi è la seguente: quale sistema elettorale presidenziale e parlamentare vi garantirebbe di più? Partiamo prima dalle somiglianze tra i due mondi istituzionali, il francese e l’americano, per dire che in entrambi i casi la regola è concepita per tenere fuori dalla porta lo spettro del cesarismo, grazie al divieto assoluto, costituzionalmente previsto, di andare oltre il secondo mandato. Nel caso della Costituzione americana, i due mandati previsti possono essere consecutivi o alternati, motivo per cui, ad esempio, Barack Obama non può essere nominato dai democratici per la sostituzione in corsa di Joe Biden, potendo fare al massimo il prossimo vicepresidente degli Stati Uniti. Quindi: tranquilli! Se The Donald dovesse spuntarla nel prossimo novembre, dovrebbe fare il pensionato a vita dopo il 2028, per la massima gioia del totalitarismo woke. Vediamo ora la notevole differenza di poteri tra i due presidenti. Mentre nel caso francese l’inquilino dell’Eliseo può sciogliere il Parlamento e nominare direttamente il premier, viceversa il suo collega della Casa Bianca (che rappresenta il potere esecutivo) non può fare altrettanto. In compenso, tutti e due possono essere costretti alla coabitazione con un Parlamento ostile, detta in inglese dell’Anatra zoppa (Lame Duck), in cui non esiste una maggioranza parlamentare presidenziale.
In particolare, a essere il più precario, rispetto agli equilibri politici tra presidente e Parlamento, è proprio il sistema americano perché prevede ogni due anni il rinnovo completo della Camera bassa (435 deputati) e quello parziale per all’incirca un terzo del Senato degli Stati Uniti (100 senatori). Tuttavia, mentre per 46 Stati Usa i collegi sono assegnati, come accade in Inghilterra, con il criterio “first-past-the-post” (in sigla “fptp”, o uninominale secca: chi vince anche per un solo voto in più degli altri si prende il collegio), quelli francesi sono attribuiti in base a un sistema con doppio turno. In questo caso, però, vige la regola capestro per cui chi non vince al primo turno riportando la maggioranza assoluta dei consensi almeno pari a un quarto degli elettori iscritti al collegio, passa al secondo turno in cui è sufficiente la maggioranza semplice. Il che, come si è visto, favorisce “ammucchiate” contro natura di famiglie politiche ideologicamente incompatibili e ferocemente avverse, pur di fermare un nemico comune, come è accaduto il 7 luglio scorso ai danni della destra lepenista nel caso francese. Ora, va detto che in Inghilterra (la quale, ricordiamolo, non ha una Costituzione scritta) la stessa uninominale secca genera profonde distorsioni nella rappresentanza reale della maggioranza del Paese. Infatti, il Partito laburista del neo premier (l’incarico viene assegnato di regola al leader del partito vincitore delle elezioni) Keir Starmer ha preso 500mila voti in meno del suo predecessore Jeremy Corbyn. Stando ai valori assoluti, infatti, nel 2019 il Labour Party prese 10,3 milioni di voti e soltanto 203 seggi, mentre nel 2024, con 9,7 milioni, ne ha ottenuti 412, che vanno ben oltre la maggioranza assoluta di 326!
Vale a dire che, in numeri percentuali, il Labour ha guadagnato il 63 per cento dei seggi con una rappresentanza appena del 34 per cento! O, in altre parole, ogni milione di voti ricevuto gli è valso 42 seggi. Per non parlare poi dei liberaldemocratici che con il 12 per cento dei voti hanno guadagnato 72 seggi, mentre Reform Uk con i suoi 4,1 milioni di voti (600mila in più dei liberaldemocratici) ne ha portai a casa solo 5! The Economist definisce questo effetto perverso come “disproportionate representation”, che non necessita di traduzioni, per cui i voti dati ai candidati perdenti non contano, pur essendo stati votati in questo caso dal 58 per cento degli elettori (superiore di dieci punti alla media, calcolata dal 1945 a oggi, del 47 percento). Per cui si può ben dire che le elezioni inglesi di questo luglio 2024 sono state le meno rappresentative della storia del Secondo dopoguerra, fatta eccezione (ma guarda caso) per quelle legislative francesi del 1993. Questo fenomeno, tuttavia, è legato alla frantumazione progressiva dell’iniziale bipartitismo (che però in America regge ancora) tra Labour e Tories. Il trend, in questo senso, è chiarissimo: mentre negli anni Cinquanta i due principali partiti presero 9 consensi su dieci, da allora le loro percentuali messe assieme hanno iniziato a scendere, fino ad arrivare oggi a meno del 60 percento, con la somma dei consensi dei Partiti minori pari al 42 percento.
Chiaramente, se è vero che il sistema britannico regala all’Inghilterra Governi stabili, tuttavia a causa dell’attuale tendenza alla dispersione del voto, oggi quello stesso meccanismo tende a distorcere in modo inaccettabile il diritto alla rappresentanza delle maggioranze di fatto nel Paese. Ovvero, attualmente è sempre più inverosimile che un premier dichiari di voler governare nell’interesse di tutti i cittadini, visto che la maggioranza di loro sono fortemente sottorappresentati in Parlamento. Ne deriva così che, benché la metà dei cittadini britannici sia favorevole a un sistema elettorale di tipo proporzionale, restano sempre da convincere i due maggiori partiti i quali hanno tutto da guadagnare nel mantenere l’attuale uninominale secca. Identicamente a quanto accade qui da noi per l’intero arco costituzionale (in pratica), altamente reticente a cambiare una legge che attribuisce la scelta dei candidati alle segreterie dei partiti. Del resto, nota The Economist, nessun sistema elettorale è perfetto: quello del tipo fptp rischia di esasperare la maggioranza degli elettori privati di rappresentanza, mentre con il proporzionale puro si rischia la proliferazione dei piccoli partiti e delle frange estreme minoritarie. Perché, come abbiamo visto più volte, i sistemi proporzionali più o meno puri hanno il comune difetto di rendere obbligatorie le coalizioni che, spesso e volentieri, si distanziano anni luce dai loro rispettivi programmi elettorali pur di arrivare e gestire il potere. Allora, “Viva il Mattarellum” (due terzi collegi uninominale un terzo proporzionale) che costruì per la prima volta il regime dell’alternanza nel sistema politico italiano!
Aggiornato il 17 luglio 2024 alle ore 09:45