Autonomia differenziata, lo storico divario socio-economico tra Nord e Sud Italia

Nelle scorse settimane, il Parlamento ha approvato definitivamente il disegno di legge Calderoli sull’Autonomia differenziata delle Regioni. La sinistra, come al solito, ha fatto tanto rumore per nulla, gridando al colpo di Stato e lamentandosi della spaccatura del Paese, con conseguenti disastri socio-economici nelle realtà geografiche del Sud Italia. In realtà, il ddl Calderoli è semplicemente la legge attuativa dei princìpi costituzionali introdotti nel 2001, quando fu varata la riforma del Titolo V della Costituzione (il pasticciaccio brutto della potestà legislativa “concorrente” tra Stato e Regioni), ad opera della stessa sinistra, che stabilisce una procedura complessa e piena di paletti per una Regione che voglia chiedere più autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria.

Il punto, però, rimane sempre lo stesso: i divari nel Sud Italia sono causati dall’autonomia locale o la questione è semplicemente “storica”? Fra il Nord e il Sud del Paese c’è, da sempre, un trasferimento di risorse pubbliche stimabile in alcuni punti percentuali del Pil nazionale annuale e il tutto è dovuto a un meccanismo estremamente lineare: le entrate tributarie sono connesse al reddito dei contribuenti (maggiormente inferiore al sud), mentre la spesa pubblica pro-capite è pressoché uguale nel Paese, perché ha l’obiettivo di garantire a tutti i suoi cittadini lo stesso livello di servizio pubblico in tutti gli ambiti (istruzione, sanità, giustizia, energia e via dicendo), diventando così il principale motore di redistribuzione delle risorse economiche fra le Regioni settentrionali e quelle meridionali.

Quest’ultimo meccanismo, però, non è stato in grado di funzionare adeguatamente, a causa di una gestione dei servizi pubblici “essenziali” che, a parità di condizioni e di risorse finanziarie, è peggiore al Sud rispetto al Nord. Le aziende municipalizzate dei trasporti pubblici locali e dell’igiene ambientale come Atac e Ama a Roma e Atm e Amsa a Milano, ad esempio, sono chiare rappresentazioni di questo divario (storico) qualitativo: la redditività, l’efficienza operativa (e la conseguente produttività), gli investimenti nelle infrastrutture e nei mezzi, e la presenza nei mercati europei, registrano valori significativi e differenti nelle partecipate delle rispettive amministrazioni pubbliche locali.

Di fronte a queste evidenze, non è vero che un maggiore decentramento delle funzioni possa accentuare ancora di più i divari fra il Nord e il Sud Italia. La storica arretratezza economica e sociale di diverse aree geografiche del Paese dipende sempre dai soliti fattori: uno scarso senso civico e un management – e una classe politica locale – non all’altezza dei propri compiti, con un continuo sperpero di risorse economiche. E con un palese menefreghismo incurante del bene comune e dello sviluppo economico-sociale di quegli stessi territori.

(*) Presidente di Ripensiamo Roma

Aggiornato il 03 luglio 2024 alle ore 09:51