Ho letto che nei giorni scorsi Giovanni Toti, agli arresti domiciliari, ha tenuto (in casa propria) una riunione con (alcuni) assessori in (probabile) esercizio della sua funzione di presidente della Regione Liguria (carica dalla quale non si è dimesso). Anche se, a leggere la stampa, è “sostituito” dal presidente ad interim Alessandro Piana. Non del tutto a torto le opposizioni (al Consiglio regionale ligure) hanno detto che così Toti “governa ai domiciliari”; e che ciò loro dispiaccia è comprensibile.
Ciò mi ricorda quello che scriveva Vittorio Emanuele Orlando – e che forse qualche lettore ricorderà che ho talvolta citato – sull’inviolabilità di certi organi dello Stato (quelli apicali) e responsabilità, nella specie, di chi ne è investito. Orlando ironizzava sulla tesi di Léon Duguit, acuto giurista francese, il quale sul conflitto tra diritto-dovere di esercitare la funzione e soggezione alla responsabilità penale, sosteneva che (il Capo dello Stato) doveva e poteva esercitarla anche in stato di detenzione. E il giurista siciliano replicava così: “Si potrebbe …chiedere come farebbe il Presidente a presiedere il Consiglio dei Ministri o a ricevere un ambasciatore straniero che gli abbia a presentare le credenziali, invece che al Palazzo dell’Eliseo, in una cella della prigione della Santé!”. Onde gli sembrava più logica la soluzione americana per cui “la costituzione americana, infatti, ammette la possibilità di un giudizio di responsabilità verso il Presidente, mediante la procedura così caratteristicamente anglo-sassone dell’impeachment. Questa comincia con un voto della Camera dei rappresentanti che mette in accusa e si chiude con un voto del Senato, l’effetto del quale, se affermativo, è di far decadere il Presidente dalla sua funzione; se ed in quanto il fatto commesso costituisca un reato, la giurisdizione di diritto comune resterà libera di esercitarsi dopo, quando la persona, che vi è soggetta, non è più rivestita di autorità”. Quindi la giurisdizione (anche per i reati comuni) comincia solo quando la persona non ha più l’ufficio.
Si dirà che Toti non esercita funzioni “apicali”; ma nel caso, soccorre il principio democratico che, essendo stato eletto dal corpo elettorale con il quale c’è un rapporto diretto (e non mediato), dovrebbe essere sospeso, allontanato, dimissionato, revocato solo dallo stesso corpo elettorale che l’ha investito.
Altrimenti a designare chi governa la Liguria sarebbero più i giudici che gli elettori. Mentre la soluzione caldeggiata da Orlando non intaccava la giurisdizione, che si eserciterebbe da sola dopo la fine del mandato degli elettori. E neppure derogava, se non per la “sospensione” dovuta all’esercizio di funzione pubblica (elettiva), al principio di distinzione dei poteri (Montesquieu).
Ben diverso l’impatto della richiesta di dimissioni del presidente inquisito. Anche se la richiesta non è fondata su alcun obbligo giuridico, il risultato pratico (l’inquisito si dimette) entra in aperto contrasto sia col principio democratico che con quello di distinzione dei poteri.
Quanto al primo, l’ha appena scritta e quanto al secondo è chiaro che dimettersi perché inquisiti assegna un potere di “veto” (o meglio censorio) al potere giudiziario su quello amministrativo. Meglio quanto opinava (il vecchio ma sempre valido) Orlando.
Aggiornato il 28 giugno 2024 alle ore 13:35