Dal marzo del 2020, per effetto di diverse leggi, è in atto in Italia una requisizione di fatto di una parte degli immobili privati. Si è stabilito, infatti, che fino al termine di volta in volta stabilito (da ultimo, il 30 giugno 2021: ben 16 mesi) non debbano essere attuati i provvedimenti dei giudici che hanno ordinato di restituire ai proprietari gli immobili oggetto di affitti giunti a conclusione, per lo scadere del termine di durata del contratto o per il mancato pagamento dei canoni (nell’ultima proroga è stata esclusa dal blocco la prima – ampiamente minoritaria – fattispecie).
Tecnicamente si chiama “sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili”, ma la misura è più nota come “blocco degli sfratti”.
La profonda iniquità di questa disposizione – che riguarda tutte le tipologie di immobili, abitativi e non – è evidente a chiunque guardi al tema con obiettività. Lo scopo con il quale viene giustificata – proteggere i cittadini più vulnerabili nel periodo della pandemia – è fallace. Nei tempi che viviamo, considerare ancora gli inquilini, per definizione, la parte debole del rapporto di locazione, è un anacronismo. Chi non ne fosse convinto, consulti la pagina del sito Internet di Confedilizia significativamente intitolata “Lettere dalle vittime del blocco sfratti”: troverà tante storie di famiglie in estrema difficoltà per effetto della sospensione delle esecuzioni (oltre che delle “ordinarie” lentezze della giustizia). Sono nella gran parte piccoli risparmiatori, spesso gravati da un mutuo, che dalla casa o dal locale commerciale locato traevano le risorse per mantenersi, quale unica entrata o quale integrazione di un reddito da lavoro o da pensione modesto (del resto, secondo i dati del Ministero dell’economia e dell’Agenzia delle entrate, quasi il 60 per cento dei proprietari-locatori ha un reddito lordo annuo che non supera i 26.000 euro).
Peraltro, gli sfratti bloccati riguardano per lo più situazioni che nulla hanno a che fare con il Covid e molto risalenti nel tempo. Quello che molti non sanno, infatti, è che l’esecuzione di uno sfratto è l’ultimo anello di una catena lunghissima, fatta di mesi o anni di ritardati o mancati pagamenti (il proprietario, di solito, aspetta molto tempo prima di “adire le vie legali”), di lunghe procedure giudiziarie una volta che all’avvocato ci si sia rivolti, di interminabili attese (specie in alcune città) anche nella fase esecutiva, prima della concreta liberazione dell’immobile.
Una catena – che occupa sovente molti anni – alla quale si aggiunge il periodo di blocco, ma che sarà seguita da un’ulteriore fase di attesa, prima dell’esecuzione dello sfratto, anche quando le proroghe si interromperanno. Un’attesa che sarà tanto più lunga quanto più ampia sarà la durata del blocco, considerato l’assommarsi di procedimenti da chiudere.
In ogni caso, anche nelle realtà – ovviamente esistenti – in cui vi è una difficoltà dell’inquilino, è il sistema pubblico che deve farsi carico del problema, non un altro privato su imposizione dello Stato. Se ci sono persone in situazione di bisogno (e fra i tanti beneficiari del blocco – insieme con gli approfittatori – ci sono ovviamente anche quelle), sono Stato, Regioni e Comuni che devono intervenire. Con il blocco degli sfratti, invece, oltre a non farsi distinzione fra inquilini in difficoltà e inquilini che se la passano molto meglio dei proprietari (ce ne sono a bizzeffe), viene imposto a privati cittadini di svolgere una funzione che è propria del settore pubblico, evidentemente troppo impegnato a fare ciò che invece dovrebbe lasciare al mercato (ma questa è un’altra storia).
Peraltro, questa misura così lesiva dei diritti proprietari, non solo non è accompagnata da alcun risarcimento in favore delle le vittime del blocco, ma neppure ha spinto l’Esecutivo almeno ad evitare ai proprietari privati del loro immobile il pagamento dell’Imu, la patrimoniale da 22 miliardi di euro annui. La Corte costituzionale se ne occuperà presto, ma in un Paese civile non si dovrebbe ricorrere alla Consulta per evitare prevaricazioni di tal fatta.
Proviamo a farci una domanda. Qualcuno troverebbe ragionevole imporre ai commercianti di regalare le loro merci ai bisognosi? No, tutti riterrebbero assurdo un provvedimento di questo tipo. Obbligare un proprietario a mettere a disposizione gratuitamente il suo immobile, invece, viene considerato possibile.
Si tratta di un’impostazione inaccettabile, che si deve anche a sindacati degli inquilini fuori dal tempo, interessati all’ideologia anziché alla salvaguardia dell’affitto. È evidente, infatti, che misure liberticide come questa – specie se così ripetute ed estese – provocano nelle persone la più totale sfiducia nello Stato e quindi, in questo caso, l’assoluto rifiuto nei confronti di qualsiasi ipotesi di investimento in immobili da locare. Chi avrà una casa in più la terrà vuota, magari in attesa di lasciarla a un figlio. Se potrà, la affitterà ai turisti, quando finalmente potremo riaverli in Italia. Quanto ai locali commerciali, il futuro – complice anche la spropositata tassazione e regole contrattuali vincolistiche fino all’ossessività – sarà la desertificazione delle città, il degrado e l’insicurezza. È questo che si vuole?
Questo volume si propone di favorire una riflessione – e, sperabilmente, un dibattito – sulle mille implicazioni di una misura come il blocco degli sfratti e, più ampiamente, sulle nefaste conseguenze dell’interventismo statale in materia di locazioni.
Perché la politica non abbia ad insistere nell’errore di affrontare i problemi soggiacendo alla superficialità e alla demagogia.
(*) L’introduzione di Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, è tratta dalla pubblicazione del saggio “Controllare gli affitti, distruggere l’economia” a cura di Sandro Scoppa
Aggiornato il 21 giugno 2024 alle ore 16:21