Un gioco chiamato democrazia

Mentre si discute, ancora una volta, sulla tendenza dei partiti politici, in Italia e altrove, a divenire “partiti personali” come fosse una novità misteriosa, poca attenzione sembra destare un evento che, a mio parere, è invece di sicuro interesse. Mi riferisco all’elezione al Parlamento europeo di alcuni influencer i quali, magari per curiosità, si sono proposti ai propri seguaci e sono stati eletti. Apparentemente non c’è nulla di cui preoccuparsi poiché, in fondo, la democrazia prevede esattamente questo: io mi candido e chi mi stima mi vota. Non può però sfuggire il significato più profondo della cosa, poiché, di norma, gli influencer riuniscono attorno a sé gruppi più o meno ampi di soggetti per finalità che non hanno alcuna natura politica bensì di intrattenimento discorsivo, musicale, commerciale e così via. Anche questo fatto, d’altra parte, non ha di per sé nulla di straordinario perché definisce la consueta differenza fra un leader e i suoi proseliti, fra chi indirizza e chi viene indirizzato.

Il termine “aggregazione”, riunirsi in gregge, ben esprime questa antica tendenza umana ad accodarsi all’affabulatore di turno. Tuttavia, non può non stupire l’immediata traduzione del consenso da parte del “gregge” in fatto, poniamo, di costumi, musiche o altro, in voti elettorali ossia nella massima espressione del potere che il popolo esercita per l’elezione dei propri rappresentanti nella varie istituzioni. Qui il concetto di “partito personale” si offre decisamente come “partito di una persona”, magari totalmente priva di qualsiasi cultura politica, senza idee e proposte: una semplice dimostrazione della propria potenza persuasiva, una sorta di gioco, come si diceva. L’aspetto più preoccupante, già emerso con la nascita del Movimento 5 stelle sulla base dei proclami aggressivi e sconclusionati di un comico come Beppe Grillo, non è tanto il successo elettorale in quanto tale ma l’ingenuità, per non dire la dabbenaggine, dei milioni di soggetti che aderiscono alla “proposta politica” di un tizio il quale si propone come deputato europeo con la stessa disinvoltura con la quale, fino a quel momento, ha proposto una marca di vini, un tablet o un taglio di capelli.

Chi parla, non raramente con atteggiamento trionfalistico, della scomparsa delle ideologie dovrebbe riflettere per bene su fenomeni del tipo che stiamo discutendo e che potrebbero presentarsi con crescente frequenza. In effetti, la mancanza totale in troppi elettori, quanto meno, di qualche traccia di cultura politica e di capacità critica, non istituisce certo un quadro tranquillizzante per una corretta vita democratica. Inoltre, ed è l’aspetto più rischioso, la grande disponibilità a seguire leader improvvisati ma per qualche ragione attraenti, potrebbe spianare la via per manipolatori e strateghi politici, di destra o di sinistra, capaci di organizzare questi fenomeni di consenso e di coagulare l’opinione pubblica per i propri fini, quelli sì, francamente ideologici nel senso più duro del termine.

Aggiornato il 12 giugno 2024 alle ore 17:14