Il successo della liberalizzazione degli affitti

La questione degli affitti delle case è uno dei temi preferiti dell’interventismo statale e uno dei cavalli di battaglia tanto caro alla sinistra, sia latinoamericana che a tutte le latitudini. A questo proposito, il controllo degli affitti ha rappresentato una delle politiche predilette della sinistra, da quando ha cominciato a essere attuata a metà del secolo scorso negli Stati Uniti, come risposta alla massiccia immigrazione di lavoratori, soprattutto a New York, e che poi si diffuse rapidamente in quel Paese e in molti altri. Da allora gli economisti hanno avvertito che un tetto ai prezzi degli affitti riduce la qualità e la quantità degli alloggi. Se poi si aggiungono altre restrizioni, come gli ostacoli allo sfratto, per accontentare attivisti e clientele politiche di sinistra, per difendere i presunti “diritti degli inquilini”, allora si ha la ricetta ideale per deprimere il mercato, ridurlo e, di conseguenza, rendere gli affitti più cari.

Nonostante l’opinione quasi unanime tra economisti e urbanisti sugli effetti perversi del controllo degli affitti e di politiche simili, gruppi di attivisti e politici spingono costantemente per rilanciare questa politica zombie perché, credono che sia stata fatta male e con difficoltà. Con un altro aspetto: non è stata attuata dagli specialisti più qualificati o “umanisti”. Come sempre, gli errori nella regolamentazione vengono attribuiti al mercato, non ai governi o agli attivisti o alla stessa regolamentazione.

Vale la pena fare riferimento al caso messicano, dove gli affitti furono “congelati” a Città del Messico, nel 1942, quando il Paese stava per entrare nella Seconda guerra mondiale. Quindi, si profilava un forte impatto sulla sua economia. Per evitare questo impatto, l’allora presidente Manuel Ávila Camacho “congelò” gli affitti pagati dagli inquilini nella zona centrale della capitale. Così, si è realizzato il sogno di molti: pagare lo stesso affitto per tutta la vita e oltre, il che incentiva gli inquilini a non andarsene mai. Ciò, in più, rendeva ancora più difficile trovare un posto dove vivere, perché tutto era occupato.

Tale politica fu estesa indefinitamente nel 1948 dal successivo presidente Miguel Alemán Valdés, fino a quando la legge non fu ammorbidita nel 1990 durante la presidenza di Carlos Salinas. Anche se solo nel 2001 la legge è stata abrogata, ormai tale politica si era diffusa in molte altre città del Paese, grazie ad alcuni criteri giurisprudenziali, nonostante le dannose ricadute sullo spopolamento e sul degrado fisico del centro storico di Città del Messico. Il tutto per quasi 60 anni ha indotto i proprietari degli immobili, di fronte all’impossibilità di aumentare gli affitti, a smettere di investire nella manutenzione delle loro case. Cosa, peraltro, che non hanno fatto nemmeno gli affittuari, poiché non erano di loro proprietà. Il che ha causato un grave deterioramento della qualità delle case della zona: passeggiare per il centro storico della città è stata un’esperienza simile a camminare tra le attuali rovine dell’Avana. Politiche simili furono applicate in molte altre città e Paesi, con le stesse conseguenze catastrofiche.

A questo proposito, una luce di speranza si è accesa recentemente in Argentina. Alla fine del 2023, il nuovo presidente Javier Milei ha abrogato la legge del Paese sugli affitti, impedendo così restrizioni come periodi di affitto obbligatori, il divieto di pagare in dollari o la registrazione dei contratti presso l’autorità fiscale. Ora, queste e altre questioni (frequenza e tassi di aumento, valuta di pagamento, garanzie e depositi, risoluzioni) sono liberamente concordate dalle parti (gran parte di ciò veniva già fatto in precedenza, ma clandestinamente), consentendo ulteriori accordi, flessibili e adattabili alle reali esigenze di proprietari e inquilini, che hanno pure evitato il ricorso alla giustizia per sovvertire quanto concordato.

Di conseguenza, molte nuove case sono entrate nel mercato immobiliare, facendo sì che l’offerta di immobili in affitto sia passata da una grave carenza a quasi 15mila unità disponibili in soli quattro mesi. Molti operatori del mercato immobiliare argentino hanno salutato la misura con grande ottimismo e, dopo i primi risultati, parlano già di “piena ripresa”, dopo aver attraversato “i quattro anni peggiori di questo secolo”, come conseguenza del prezzo controlli e altre misure interventiste promosse dal precedente Governo peronista di Alberto Fernández. Così, l’offerta di affitti è cresciuta del 60 per cento dopo l’abrogazione della legge. E già l’annuncio della sua abrogazione ha fatto raddoppiare l’offerta di affitti a Buenos Aires, il che ha fatto sì che il prezzo medio degli affitti abbia subito un significativo aumento. Diminuzione, per la cronaca, tra il 20-30 per cento.

La nuova regolamentazione promossa da Javier Milei in Argentina è un buon esempio della strada che dovrebbero seguire molti Paesi e altre città: lo Stato non dovrebbe interferire in un mercato che è gestito in modo migliore da liberi accordi tra privati. La difficile situazione degli inquilini in Stati come la Spagna o l’Italia, dove l’offerta evapora e la domanda aumenta, colpendo soprattutto i più giovani, che trovano nell’impossibilità di emanciparsi o di formare una nuova famiglia.

Ecco perché la proposta dei nostri amici de L’Opinione delle Libertà di abrogare la vecchia legge giusta sugli affitti in Italia, per porre fine alle norme invadenti sull’affitto degli appartamenti, mi sembra un passo importante nel realismo e nella giusta  direzione delle proprietà urbane, che quasi sempre portano a effetti contrari a quelli originariamente ricercati. Una proposta del genere dovrebbe diventare una causa comune di molte altre società e organizzazioni, preoccupate per il futuro della libertà e della proprietà privata. Le società hanno bisogno di più inquilini e di meno attivisti ben intenzionati ma irresponsabili.

Il mercato immobiliare è una parte molto importante dell’economia. Se c’è un intervento eccessivo da parte del Governo, come abbiamo visto più volte, toglierà i capitali necessari alla costruzione degli immobili, alle loro ristrutturazioni, ai mutui, ai prestiti. L’interventismo statale nel controllo degli affitti e in altri settori provoca sempre carenze, che è una sorta di guerra non dichiarata contro i più poveri e bisognosi.

(*) Leggi qui l’articolo originale in spagnolo

Aggiornato il 07 giugno 2024 alle ore 10:16