L’altro giorno, su Il Riformista, il direttore Claudio Velardi ha pubblicato un editoriale intitolato: “Perché un riformista non può mai votare Pd alle Europee: dem troppo a sinistra, troppo grillini”. In effetti, almeno all’apparenza, ma non solo, nel Partito democratico – quello di Elly Schlein – di riformismo non c’è traccia. Alla disperata ricerca della leadership del campo largo, attualmente dominato dalla figura del pentastellato Giuseppe Conte, la segretaria piddina è a caccia di un quid, del quale però sembra che le sfuggano le sembianze.
Ricorda Velardi: “Essere riformisti significa prima di tutto rimanere saldamente ancorati al campo geopolitico, storico e culturale dell’Occidente democratico”. E che, pertanto, “sono lontane da questa visione le parole di Marco Tarquinio, candidato indipendente del Pd, che ha chiesto lo scioglimento della Nato, ed è stato spalleggiato da Nicola Zingaretti, già segretario dem, il quale ha sostenuto che si tratta di una denuncia forte...che credo sia giusta”. Continua Velardi: “Neppure è da riformisti dire – parole di Elly Schlein – che tutta la comunità internazionale deve fermare Netanyahu, senza pronunciare un’acca sul terrorismo di Hamas che ha scatenato la reazione di Israele”.
Claudio Velardi riflette, a seguire, sul rapporto tra riformismo e garantismo: il secondo è sinonimo del primo, sempre e per chiunque. “Non è da garantisti chiedere dimissioni per opportunità di un politico indagato con accuse che potrebbero rivelarsi infondate, come ha fatto Elly Schlein parlando di Toti”. E men che mai è da garantisti sostenere, come ha fatto la segretaria del Pd, che “non si aspettano le sentenze, bisogna anticipare i giudizi”. “Parole agghiaccianti degne del peggiore giustizialismo grillino” le ha definite il direttore Velardi.
Oramai, Schlein e i suoi sono ridotti a raschiare il fondo del barile, alla disperata ricerca di consensi per i quali si stanno dimostrando disposti a tutto, anche a buttare alle ortiche quei pochi princìpi che erano rimasti nel loro bagaglio politico. La conclusione dell’editoriale è una vera e propria mazzata: “Resterebbe da dire una parola sui riformisti del Pd. O meglio, parole da dire non ce ne sono. Perché i nostri eroi non risultano agli atti”.
Aggiornato il 04 giugno 2024 alle ore 16:36