Al via l’iter della proposta di legge di iniziativa popolare
per l’abolizione del regime vincolistico per le locazioni non abitative

Bisogna dirlo a chiare lettere: non si tratta di una legge che ha fatto il suo tempo e, di conseguenza, deve essere aggiornata e tenuta in vita. Né, sia pure alleggerita dalle incrostazioni, può essere riformata e utilizzata alla meno peggio come esempio, in Italia o altrove. Essa, in realtà, non avrebbe mai dovuto essere adottata!

Aveva infatti alle spalle ben 60 anni di fallimenti del regime vincolistico, che potevano essere considerati sufficienti per ritenere che il nuovo esperimento che costruttivamente si stava tentando con legge dell’equo canone, non avrebbe raggiungo alcuno degli obiettivi che i suoi fautori intendevano raggiungere.

Era dunque destinato a fallire, come poi è puntualmente avvenuto, producendo quelle conseguenze dannose che hanno finanche allungato le loro ombre sinistre sino a oggi. Né, comunque, avrebbe potuto raggiungerli, posto che il provvedimento di cui trattasi si poneva in stridente contrasto con i principi dell’economia, i quali, diversamente dai proclami della politica, sono senza tempo e non sono soggetti a capovolgimenti. Questi hanno insegnato che il mercato degli immobili funziona esattamente come tutti gli altri mercati di beni e servizi, ed è concorrenziale.

Il che significa che i proprietari non hanno “potere di mercato” e sono costretti a soddisfare i conduttori o a perderli in favore di altri proprietari, i quali possono entrare nel mercato e rispondere alla domanda di immobili. A loro volta, gli affittuari possono spostarsi verso altri immobili, a causa delle peggiori condizioni, delle clausole più restrittive o dei canoni più elevati.

Nonostante ciò, la legge dell’equo canone ha raggiunto ugualmente il traguardo dell’approvazione nel 1978, che è avvenuta in un momento storico e in un contesto sociale e politico decisamente favorevoli all’interventismo statale, orientato in sede parlamentare al consociativismo, del quale vi era plastica rappresentazione nella maggioranza che sosteneva il Governo monocolore democristiano guidato dall’onorevole Giulio Andreotti.

L’esecutivo, appoggiato per la prima volta in Italia dal Partito comunista, aveva ottenuto la fiducia dal Parlamento il 16 marzo 1978, con il 90 per cento di voti favorevoli, appena tre ore dopo l’annuncio del sequestro dell’onorevole Aldo Moro, presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana.

Il terreno ideologico sul quale la medesima legge era stata adagiata era stato però adeguatamente preparato in un lungo periodo di tempo dalla sinistra socialcomunista e dai fautori, pure presenti all’interno delle altre forze politiche che si erano accodate successivamente, di una gestione collettivistica dell’economia, i quali avevano reso estremamente popolare l’ingerenza statale anche nel settore immobiliare.

In quegli anni, del resto, l’interventismo veniva presentato come una politica socio-economica progressista ed era stato reso popolare da una campagna propagandistica abilmente condotta, la quale seguiva una precisa linea d’azione che manifestava la necessità, come dichiarato da Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano, di contrastare alla radice – e porre le basi del superamento – “un sistema (della proprietà privata) che è entrato in crisi strutturale di fondo” e di “operare perché nella vita economica, sociale e politica vengano introdotti almeno alcuni elementi, valori e criteri propri dell’ideale socialista”, i quali consentiranno di realizzare “un programma di transizione verso una società socialista”. 

Ebbene, la richiamate legge dell’equo canone, varata all’epoca a furor di popolo con il convergente voto favorevole degli esponenti di una vasta area parlamentare, non è stata coronata da successo ed è mestamente fallita dinanzi alla prova del mercato, che ha messo in luce i disastri economici e sociali che seppure in un breve lasso di tempo aveva prodotto.

Ciò ha richiesto, per le locazioni abitative, un primo intervento derogatorio con il decreto adottato dal governo Amato nel 1992 e poi il suo definitivo abbandono, a venti anni dalla sua introduzione, con la cosiddetta liberalizzazione “assistita” (o “controllata”) contenuta nel progetto Zagatti, che sfociava nella legge 9 dicembre 1998 n. 431.

Nessun intervento è stato invece adottato per le locazioni a uso diverso da abitazione, nonostante il controllo operato con il citato provvedimento legislativo continua a soffocare la vitalità del mercato immobiliare e a ridurre il valore creato dagli scambi e dalla concorrenza, rendendo impraticabili le soluzioni e gli incentivi che questa determina. I danni che ha prodotto e continua a produrre sono sotto gli occhi di tutti e notevoli. Non è ancora il caso di riproporre la triste litania della desertificazione commerciale, del degrado dei centri storici, della rarefazione dell’offerta di immobili a uso diverso dall’abitativo e delle iniziative imprenditoriali, dei problemi di sicurezza.

È piuttosto tempo d’azione!

È pertanto necessario, e non è più procrastinabile, operare fattivamente per l’abrogazione di quella parte residua che ancora sopravvive della legge dell’equo canone, la quale, dopo 46 anni, continua ancora a disciplinare rigidamente siffatti essenziali rapporti locativi, restituendo così piena libertà alle parti, esaltando la loro autonomia contrattuale e valorizzando la vera cooperazione spontanea tra soggetti che si riconoscono e rispettano.

È questo l’obiettivo che si pone la proposta di legge di iniziativa popolare ai sensi dell'articolo 71, secondo comma, della Costituzione, promossa da L’Opinione delle Libertà, il cui iter prenderà il via nei prossimi giorni, la quale contiene un unico articolo: La legge 27 luglio 1978, n. 392, Disciplina delle locazioni di immobili urbani è abrogata”.

È un’iniziativa di fondamentale importanza, alla quale sono chiamati a fornire il loro sostegno tutti coloro che hanno a cuore la libertà di scelta e la proprietà privata, il progresso economico e sociale, e siano nello stesso tempo consapevoli che, come ha scritto Ludwig von Mises: “La proprietà privata (…) è il terreno d’impianto e di coltura della libertà, dell’autonomia dell’individuo, e in ultima analisi di qualsiasi sviluppo della vita spirituale e materiale”.

(*) Presidente Fondazione Scoppa

Aggiornato il 03 giugno 2024 alle ore 10:59