Europee, nessun candidato ne parla: situazione kafkiana

Siamo di fronte alle elezioni europee in un contesto storico di grande incertezza e difficoltà con un futuro scarsamente prevedibile. I problemi sono tanti, specie per l’Europa, che si sta giocando la sua credibilità per non dire la sua precaria esistenza. Le criticità, come vedremo, sono molte ma il fatto paradossale è che nessuno dei candidati, indipendentemente dalla posizione politica, sembra voler affrontare il tema europeo per il quale si sono per l’appunto candidati.

Siamo in una situazione kafkiana che è un neologismo della lingua italiana, il quale indica una situazione paradossale, e in genere angosciante, che viene accettata come status quo, implicando l’impossibilità di qualunque reazione tanto sul piano pratico quanto su quello psicologico. In questa ambiguità liquida, come direbbe Zygmunt Bauman, si muovono schiere di candidati senza parlare dell’Europa, senza un pensiero che tocchi la drammatica situazione che sta vivendo il Vecchio continente, alla ricerca della sua perduta identità, a fronte di drammi immensi che mettono in discussione il rischio di caduta dell’Occidente come aveva scritto nel lontano 1914 Oswald Spengler (Il tramonto dell’Occidente).

Oggi siamo qui a toccare con mano le contraddizioni che caratterizzano un’Europa priva di pensiero, piena di paure e di conflitti. L’Europa che ci ritroviamo davanti è profondamente lontana dal sogno dei padri fondatori; forse siamo di fronte alla peggiore Europa che sia stata realizzata, in totale distonia rispetto ai principi generali che hanno ispirato la sua costruzione. Ma sembra che nessuno ne voglia parlare, forse per mancanza di cultura e di interesse vero. Così prevalgono velenosi dibattiti televisivi sul nulla e pure i quotidiani non sono da meno nel mettere in prima pagina notizie che sarebbero da giornalino di quartiere. Lasciamo perdere i nomi per non doverci abbandonare alla tristezza infinita del nulla.

Pertanto, il sogno di poter unire sotto l’egida della cooperazione Stati che per millenni si sono sanguinosamente combattuti è svanito per interessi esterni all’Europa stessa, che ha finito per perdere quella autonomia e quel senso di unione che era alla base del suo destino. In mancanza di una capacità politica di coesione hanno prevalso gli interessi dei singoli, che hanno finito per consegnare il destino dell’Europa in mani esterne. Perciò oggi l’Unione europea risulta eterodiretta per scopi spesso estranei a lei, però funzionali agli interessi di un atlantismo che dovrebbe essere profondamente ripensato.

Il livello di dipendenza da interessi esterni e dal modello culturale degli Usa fondato sul mercato, profondamente diverso dal modello di welfare alla base dell’Unione europea, ha finito per creare un sottoinsieme di Stati, i quali sembrano sempre più disuniti e vittime di volontà esterne che perseguono finalità che si stanno rivelando profondamente lesive della sua cultura, della sua autonomia e della sua sopravvivenza.

Di tutto questo non sentiamo nulla che non sia la singola voce o il dispetto reciproco, eppure di problemi da affrontare ce ne sarebbero, forse troppi. Proviamo a farne una breve disamina. Il primo è, come detto la mancanza di autonomia di guida politica lasciata a una estenuante burocrazia che complica le criticità. Gli Stati europei devono fare i conti con i loro grattacapi di deficit. In particolare, l’Italia deve affrontare con intelligenza il macigno del suo debito e non incorrere in provvedimenti di rigore pericolosi. E poi la posizione di eccessiva sudditanza a un atlantismo che va ripensato, perché non può basarsi sempre su un regime di guerre. L’Europa è nata dalla guerra e sa cosa vuole dire la povertà, la disoccupazione e l’emarginazione con cui ci stiamo purtroppo confrontando. E ha il dovere di mettere l’esperienza e la sua cultura, quella dei padri fondatori, perché l’attuale è misera e non sufficiente per provare a mediare tra soluzioni perseguibili senza doversi sdraiare sulle richieste di altri. E senza avere così una sua politica indipendente ma suddita di altri interessi.

Siamo stati costretti a seguire guerre per le quali era, ed è, necessaria una mediazione frutto di una strategia politica inesistente. Di fronte a una finanza tossica, sarebbe necessario e utile pensare a un’agenzia di rating europea più legata al suo sistema di welfare che controbilanci quelle americane, legate al mercato e troppo strumentali agli interessi della finanza globale. Sono dominanti senza contradditorio: così noi siamo sempre in attesa di cosa decideranno in merito al nostro rating. In questo senso, sarebbe lecito domandarsi dove è finito il Fondo monetario internazionale che sembra scomparso in missione e inutile, rispetto alle finalità per cui è stato creato.

Va ripensata la governance con un presidente che sia una persona di cultura e non un economista che rischia di farsi travolgere dalla finanza; l’esperienza di Ursula von der Leyen è stata priva di creatività, totalmente suddita di interessi sovrastanti e quindi dannosa. Va ripensata la governance della Banca centrale europea perché Christine Lagarde si è dimostrata inidonea al ruolo che copre, troppo manipolabile da interessi esterni come aveva già mostrato quando era stata messa a capo dell’Fmi negli attacchi all’Europa di cui paradossalmente è stata responsabile finanziaria, mostrandosi incapace di capire che le cause dell’inflazione in Europa sono diverse da quelle che la generano negli Usa. Da noi i tassi devono essere ridotti, perché l’inflazione diminuisce negli Usa, non perché non possono rimuovere le cause che la alzano e la continueranno ad alzare.

Come sono lontani i tempi in cui Romano Guardini, uno dei più illuminati pensatori del secolo scorso, scriveva del ruolo e del compito dell’Europa in un mondo che cambiava in occasione del conferimento del Praemium Erasmianum (Il premio Erasmo) a Bruxelles nel 1962, in cui richiamava alla potenza acquisita dall’uomo tramite la scienza e la tecnica, e al rischio che l’uomo potesse farne un uso terribile, così affidava all’Europa il compito storico di riportare la saggezza nella storia dell’uomo.

“Perciò io credo che il compito affidato all’Europa… sia la critica della potenza (l’esatto contrario di oggi, ndr). Non critica negativa né paurosa né reazionaria… perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi ma come destino che rimane indeciso dove condurrà. L’Europa è vecchia… oggi sembra rinnegare la sua vecchiaia e sorgere a nuova gioventù. L’Europa ha creato l’età moderna ma ha tenuto ferma la connessione con il passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell’accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica ma nel domare questa potenza. L’Europa ha prodotto l’idea della libertà dell’uomo come sua opera; ad essa soprattutto incomberà, nella sollecitudine per l’umanità dell’uomo, pervenire alla libertà di fronte alla sua propria opera” (Romano Guardini, Europa. Compito e destino, pagina 26).

(*) Professore emerito dell’Università Luigi Bocconi

Aggiornato il 28 maggio 2024 alle ore 09:54