Dobbiamo davvero andare verso la costruzione di una “nazione” europea? Le identità si forgiano col ferro e col sangue. Fatta l’Europa, si potrebbe senz’altro provare a fare gli europei: a patto di accettare una esplosione di nuovi conflitti in seno all’Unione europea e soprattutto che qualcuno questi conflitti li vinca e qualcun altro li perda. Vale in tutti i casi al centro del dibattito, a cominciare da quello più eclatante: l’esercito europeo. Si è mai visto un esercito senza uno stato maggiore? E in che Paese starebbe, che lingua parlerebbe, questo stato maggiore?
Oppure considerate la disciplina degli aiuti di Stato. Gli stessi che per anni hanno strepitato per cambiarla, sognando di moltiplicare le Alitalia, ora strepitano perché, essendo stata manomessa, chi ha più margini di manovra sul piano fiscale può elargire mance più sostanziose. La soluzione è ovviamente la seguente: mettiamo tutto insieme nel calderone europeo, quattrini (pochi) italiani e quattrini tedeschi (di più). Come se questo risolvesse la questione di chi deciderà come allocare quelle risorse, e chi ne saranno i beneficiari.
Se c'è qualcosa che contraddistingue da almeno un millennio questa parte di mondo è semmai la frammentazione. Se intendiamo la cultura come qualcosa di meno inequivoco della lingua, se cioè accettiamo di maneggiare il concetto con tutte le sue ambiguità, forse un’identità europea esiste ed è diversa e conflittuale rispetto a quelle nazionali. È un’identità fatta di alcuni elementi culturali comuni, dovuti al comune sostrato religioso prima e poi al fatto che tutti abbiamo letto i poemi omerici e sappiamo più o meno chi siano Don Giovanni e Faust, e di coesistenza di unità politiche diverse.
L’Europa è altro dagli Stati nazionali: mentre i secondi promettono convergenza, unità, uniformità, la prima non offre che differenza e pluralismo. Fare convivere unità politiche diverse in un mondo di Stati nazionali è più difficile di quanto non fosse prima di essi. Perché lo Stato nazionale è una istituzione talmente prepotente che tutto va riportato alle sue categorie. Quindi, serve il demos europeo.
Ma se pensiamo che l’Europa sia differenza e pluralismo, e non unità e uniformità, l’esoscheletro politico che può darsi non è tanto diverso dall’attuale: un insieme di strumenti, che sortiscono da accordi espliciti fra le diverse unità politiche che la compongono (trattati) e che servono a raggiungere assieme pochi e precisi obiettivi comuni. L’Unione europea che c’è è una costruzione stratificata, contraddittoria, con molti limiti. Ma ha qualche successo da vantare: il mercato unico, l’euro, la scomparsa delle frontiere fisiche, la promozione della concorrenza. In ciascuno di questi ambiti sono stati fatti molti errori, eppure il bilancio è positivo.
(*) Direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 27 maggio 2024 alle ore 11:38