“Noi Europa”: come riformare la costruzione europea

La nascita dell’Unione europea è stata dovuta alla impossibilità di controllare lo spostamento dei capitali e le speculazioni che si abbattevano sui Paesi, colpendoli. Le autorità monetarie dell'Eurozona pensarono di porre rimedio con la costituzione di una grande area monetaria comune la cui dimensione avrebbe scoraggiato qualsiasi attacco speculativo, anche il più violento. La allora Comunità economica europea ha offerto la cornice adatta per realizzare il progetto. Nel 1970 era stato compitato il Piano Werner dal nome del suo ideatore, che consisteva nello studio dei meccanismi adatti alla realizzazione dell'aera economica, e quello fece da “base” al progetto. Nel 1978 ha preso l’avvio il cosiddetto “serpente monetario”; nel 1987 sotto la Commissione Delors è stato stipulato e siglato il Trattato detto “Atto unico”; nel 1993 i mercati separati degli Stati membri hanno dato vita al “Mercato interno” o “Mercato unico” per tutti i Paesi membri; semite nel 1993 è stato perfezionato il Trattato sull’Unione europea, che ha introdotto la moneta unica – cioè l’euro – che prima è stata applicata come moneta virtuale poi, dal primo gennaio 2002, unica valuta avente valore legale nei Paesi aderenti ammessi ad utilizzarla. Unico mercato uguale unica moneta, Mercato unico uguale moneta unica.

Il mercato esige un adeguato grado di omogeneità prima ancora nelle regole, nelle strutture. L’omogeneizzazione delle strutture in funzione di un unico mercato avrebbe comportato nel tempo la creazione di un Governo centrale. Si decise, con il passaggio dalla Comunità europea all’Unione europea, che gli Stati avrebbero conservato le proprie identità, aderito all’euro quindi rinunciato alla propria sovranità monetaria. Questa non sarebbe tuttavia passata all’Unione europea ma alla gestione tecnica affidata alla Banca centrale europea, organo dell’Ue. Gli Stati membri avrebbero vincolato i loro bilanci all’osservanza di limiti massimi nei rapporti tra l’indebitamento ed il debito e il Pil. Le risorse dell’Unione sarebbero derivate dai dazi esterni e dalle risorse trasferite dagli Stati. Il bilancio dell’Unione, vincolato al principio di parità assoluta. Tra il 1960 ed il 1974 il governatore della Banca d’Italia Guido Carli ha cominciato a spiegare che l’Italia disponeva di strutture incompatibili con il regime di mercato europeo.

Era ed è così vero che fino al 1992 l’Italia è stata economicamente e produttivamente seconda in Europa, la “macchina” pur inadeguata ha camminato fino ai primi anni novanta del secolo scorso. Dal 1992 l’Italia è ultima e continua e continuerà ad esserlo. Questo perché nello Stivale la politica viveva sul sistema dello Stato cosiddetto "amministrativo", ovvero sulle strutture incompatibili segnalate da Guido Carli, e con l’euro ed il mercato unico è stato di fatto chiuso e messa la parola “fine” al sistema politico che dallo Stato amministrativo traeva origine ed esistenza, vita. Perché ci sia “Europa” – Unione europea – è necessario ci sia democrazia, viga il principio di democraticità. Oggi come ieri, il sistema dei poteri in Europa non lo rispetta.Perché il sistema delle istituzioni – dei poteri – in Europa non rispetta il principio di democraticità.

La maggior quota di potere dell’Unione europea è concentrata nella Commissione, i cui poteri superano quelli di qualsiasi altro organo – ha poteri in settori nevralgici – e la Commissione è un organo cui fa difetto, manca totalmente il requisito della democraticità. Si prendano ad esempio i poteri normativi: sopra essi ci sono e valgono solo le norme costituzionali. Il Parlamento europeo e il Consiglio europeo sono titolari infatti di mere competenze legislative specifiche riguardo casi tassativamente determinati, specifici. Al contrario la Commissione europea è titolare di competenze legislative generali con riguardo ad interi settori. Settori che sono ampissimi e afferenti a materie che costituiscono la ragione d’essere dell’Unione, cioè quelle del mercato interno, della concorrenza, degli aiuti di Stato, tutta la disciplina economica. Il mercato agricolo e le procedure di disavanzo eccessivo che condizionano la sovranità finanziaria degli Stati membri. Fate attenzione qui: la Commissione può manovrare e gestire come pare a lei, sciolta da qualsivoglia vincolo elettorale dunque senza alcun principio di democraticità, la politica degli Stati membri decidendone e soprattutto disponendone procedure di eccesso di disavanzo e sanzioni, dunque ammissibilità o meno della presenza dentro l’Unione, “stigmi e punizioni” detto in parole dirette e semplici.

La Commissione europea esercita la propria competenza legislativa con Regolamenti e Direttive, spesso ricorre anche a fonti atipiche cioè a Comunicazioni. Tali atti hanno rango identico alle leggi. E l’ambito di competenza della Commissione è ampissimo, vastissimo. Per di più, il Parlamento ed il Consiglio europeo non possono esercitare alcuna interferenza sulle materie di competenza normativa della Commissione. Questa, all’opposto, è titolare di un potere molto condizionante nei confronti della procedura legislativa ordinaria, cioè di quanto deciso dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Ecco perché l'elezione dei parlamentari europei è praticamente inutile, perché in pratica non contano, qualsiasi cosa facciano – contano per sé stessi, per il proprio portafoglio reso ricco dallo stipendio parlamentare. Ai fini della nostra comune utilità collettiva i parlamentari europei non servono a niente, detto in maniera chiara. La Commissione ha infatti anche il potere esecutivo di proposta, che significa che nessuna legge può essere discussa e tantomeno adottata in assenza di una proposta della Commissione. Ed anche nel caso del Consiglio europeo, esso si può discostare dalle proposte della Commissione solo deliberando all’unanimità. In più, come se non bastasse, la Commissione può adottare provvedimenti molto simili ai nostri decreti legislativi. E può dettare norme vincolanti circa il modo di dare esecuzione alle leggi dell’Unione. Quindi alla Commissione, detto in parole più semplici, viene dato un potente potere legislativo svincolato da qualsivoglia principio democratico fondato sulle elezioni e su quanto realmente vogliono e votano i cinquecento milioni cittadini europei, noi tutti cittadini europei. Che siamo i terzi più popolosi dopo Cina e India.

La Commissione europea è inoltre anche titolare in via generale del potere esecutivo, tranne negli sparuti casi in cui attribuzioni esecutive sono specificamente del Consiglio europeo. La Commissione europea cumula dunque potere legislativo e potere esecutivo con manifesta violazione del principio della divisione dei poteri, oltre che per violazione del principio della democraticità. Nel tempo si è anche appropriata di poteri giurisdizionali. Tutto questo dimostra con chiarezza che tra gli organi europei – Parlamento, Consiglio – la Commissione è sfacciatamente preminente e, come sappiamo tutti, dietro essa vi è la burocrazia che di fatto “comanda” l’Unione in assenza di legittimazione democratica. I commissari variano, si avvicendano ma gli uffici sono permanenti e “comandano”. La Commissione non ha legittimazione democratica, non ha cioè nessun collegamento con il corpo elettorale, con i cittadini europei, con ciò che vogliamo. Il corpo elettorale, lo si ricordi, è quello grazie al quale si esprime nella sua unitarietà la collettività che l’istituzione – ovvero l’Unione europea – rappresenta. I commissari sono designati dai governi dei singoli Stati e ciò non basta a conferire loro il requisito necessario e fondamentale della democraticità perché non derivano dal corpo elettorale dei cittadini europei.

La allora Comunità europea ha reso impossibili le guerre tra gli Stati membri europei, conflitti armati che hanno fatto da apripista, indietro nel tempo, a deflagrazioni di guerre mondiali. L’Unione europea ha reso effettiva la libertà di movimento delle persone, delle merci, dei servizi, dei capitali. Sono state rese più stabili e ferme le discipline della concorrenza e del diritto di stabilimento. La formazione della grande area commerciale ha reso possibile la libertà degli scambi e l’accrescimento delle imprese e dello sviluppo del commercio mondiale. L’Unione si è proposta quale baluardo a difesa del riconoscimento e della tutela e difesa dei diritti politici e dei diritti fondamentali della persona, di una avanzata protezione dei nostri diritti sociali nella collaborazione tra i popoli e la risoluzione pacifica delle controversie. È molto, come è evidente, ma si guardi bene la realtà che oggi è sotto gli occhi di noi tutti. Si era partiti con l’obiettivo dello sviluppo “sostenibile”, quindi non massimo pur tuttavia sostenibile. Però dai primi anni novanta del secolo scorso i maggiori e più forti Paesi membri dell’Unione – innanzitutto l’Italia – il ritmo di sviluppo non è solo peggiorato ma è stato proprio annientato. Si è trattato di un fenomeno affatto transitorio ma continuo e costante, perpetuo, e progressivo. La perdita di velocità, chiamiamola gentilmente così, è stata chiaramente conseguente – conseguita quale causa-effetto – a causa degli ordinamenti presi in Europa. Ed è avvenuta mentre, nello stesso tempo, si è cresciuti straordinariamente ed in maniera abnorme in altre parti del mondo.

Vi è una causa comune. Il sistema Ue ha stabilito che il rapporto tra l’indebitamento annuo ed il Pil non possa superare il tre per cento – con tendenza a ridurre la percentuale allo zero – ed il debito complessivo non possa a sua volta superare il sessanta per cento del Pil. Ma come fa lo Stato che abbia fattori produttivi e innovativi da cogliere nell’immediato e però si trovi sbilanciato rispetto ai parametri stabiliti? Deve lasciare perdere e fare svanire la possibilità di crescita? I parametri possono costituire l’ostacolo per la creazione di fattori produttivi così come per la loro utilizzazione migliore. Il debito complessivo comporta che la spesa pubblica sia gravata di un maggior carico di interessi e ciò che si paga per interessi viene sottratto alla spesa produttiva. Si genera un circolo vizioso. L’utilizzazione di fattori richiederebbe maggiore spesa invece lo Stato sottrae risorse per corrispondere interessi sul debito eccedente. Riequilibrare e risanare il debito richiede tempi lunghi, ed ecco che gli Stati membri dell’Unione europea sono rimasti – come tuttora rimangono – esposti al progressivo costante degrado.

Il nostro Paese, come è noto, ha subito un salasso finanziario a fronte di un costo di circa mille miliardi, ed è stata una ecatombe. Caduto il muro di Berlino, crollata l’Urss, gli Usa sono divenuti l’unica potenza mondiale occidentale, oggi sopravanzata dalla Cina ad Oriente, e con la rincorsa dei Paesi appartenenti al BricsBrasile, Russia, India, Cina (cui si sono aggiunti il Sudafrica, Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti) – subito dietro. L’Europa impelagata nelle strettoie in cui si è stretta erroneamente. L’Europa oggi è trainata non più trainante. Sono proprio le regole che questa Europa si è data a partire dal 1992 a giocare contro noi stessi, contro l’Europa e i suoi numerosissimi cittadini europei. L’Italia è ferma ai livelli di ricchezza del 2007 con dodici anni di ritardo rispetto alla Francia e alla Germania. Viene dismesso patrimonio ma il debito cresce. I salari arrancano con la produttività. Bisogna cambiare le regole in Europa. Bisogna tornare a crescere. Prima di tutto bisogna liberare l’Europa dalla clausola suddetta. L’Europa è una vasta area dalle immense potenzialità, bloccata e condannata a non sfruttarle. Le grandi innovazioni necessitano di grandi progetti ed organizzazioni e sistemi applicativi, un enorme volume di capitali. L’Europa deve potere indebitarsi. Il bilancio deve potere essere non in pareggio. L’Unione europea può indebitarsi fino al quaranta per cento del suo Pil complessivo con la certezza di non compromettere la stabilità dell’euro. Il quaranta per cento di Pil corrisponde peraltro anche alla percentuale di debito, in rapporto al Pil, rispettata nei periodi migliori negli Stati Uniti.

Si tratterebbe di un limite massimo da raggiungere solo ove le circostanze lo dimostrino necessario. Tale eccezionale dimensione della capacità finanziaria dell’Unione europea consentirà alla nostra Europa di trovarsi in vantaggio rispetto a qualsiasi altra aggregazione politica del resto del mondo. Senza, lo si ripete, sia messa in pericolo la stabilità. In un tempo medio ci sarebbe spazio per riportare a condizioni fisiologiche i bilanci degli Stati membri europei. Bisogna dunque riconoscere la capacità di indebitamento dell’Unione europea. È necessario immettere nuova liquidità nel sistema. Non una tantum a seconda del pensiero del momento, come sono stati – e sono – il meccanismo del Quantitative easing, il Whatever it takes, eccetera, e altro, come oggi, il Pnnr, ma in maniera strutturata ed organizzata, continua. Una sorta di “flebo” fissa alla “malata” – l’Europa – che deve riprendersi dalla patologia e rinascere e, grazie alle modifiche e correttivi, riformata. Giuridicamente è sufficiente ricondurre le regole a quelle realmente tali vale a dire che unicamente i Trattati hanno valenza erga omnes mentre così non è per tutti gli innumerevoli atti e disposizioni – si pensi ai regolamenti fattisi Trattati come il Patto di stabilità e di “crescita” – cui questa Europa sbagliata ha attribuito valore che non hanno.

Allo stesso modo gli organismi e le istituzioni non collegati all’elettorato europeo ad esso vanno ricondotti o cancellati. È necessario riprendere gli originari ideali europei che volevano l’Europa solidale dei paesi aderenti i quali conservano la propria sovranità politica procedendo via via alla lenta e progressiva convergenza economica, ciascuno con propria autonoma economica. Oggi siamo a un bivio, o si torna indietro a causa della mala strutturazione che si è data l’Europa e che sta impoverendo Europa e cittadini europei, o si crea con un’ingegnosa ristrutturazione della costruzione europea la nuova Europa. Tertium non datur. Solo percorrendo oggi la via della revisione e modifica delle regole europee su potrà un giorno immaginare una Unione politica dell’Europa oggi non attuale. Nessun esercito europeo, che non significa che l’Europa è indifesa quanto piuttosto che non fa la guerra con le armi ma risolve i conflitti tramite gli organismi e le istituzioni elette deputate e competenti, tramite i ministri degli esteri e ambasciate e ambasciatori – i diplomatici sono rimasti inattivi nella guerra Russia-Ucraina con apporto Nato. Facciamo lavorare chi sa o, meglio, dovrebbe sapere farlo dai ministeri e dalle ambasciate. Se fosse esistito un esercito europeo, oggi, saremmo sotto le bombe e l’Europa sarebbe in campo di guerra e di morte. Oggi l’intera architettura dell’Europa va ridisegnata, corretta, per esistere.

La Commissione e l’organizzazione burocratica che porta con sé va spazzata via, dunque si opporrà strenuamente decretando la fine dell’Europa, cui si arriverebbe lo stesso, con solo maggiore tempo, qualora non si riformi. Il consesso internazionale è andato avanti mentre l’Europa sbagliata è ferma e riversa su se stessa. Bisogna avere il coraggio di riscrivere le regole per potere esistere. La Storia insegna che le istituzioni, a maggior ragione quelle non legittimate dal voto elettorale – tendono ad opporsi ed ostacolare nel proprio solo interesse. Qui si tratta di fare comprendere che solo a fronte di una radicale riscrittura delle regole europee, l’Europa diverrà la nostra Europa. Noi Europa stiamo chiamando, l’Europa non può non sentire, poiché scomparirà non ascoltando la nostra chiamata. Riformare per esistere. Forza.

(*) Relazione al convegno “Noi Europa: giustizia, casa, impresa”. Nel corso dell’incontro sono stati presentati i libri Noi Europa di Francesca Romana Fantetti e Liberare la giustizia” di Ferdinando Cionti (16 maggio 2024, Sala Einaudi, Confedilizia, Roma).

Aggiornato il 22 maggio 2024 alle ore 12:49