Il carcere europeo

L’Italia protagonista nella realizzazione di un sistema penitenziario europeo

Sono trascorsi pochi giorni dal 9 maggio, Giornata dell’Europa, in ricordo di quella del 1950, allorquando Robert Schuman presentò la sua proposta di creazione di una Federazione europea, col fine di assicurare e consolidare i beni sociali della pace e della prosperità in una Europa che era stata devastata dalla Seconda guerra mondiale (Schuman, tra l’altro, fu anche il primo presidente dell’Assemblea parlamentare europea eletto all’unanimità e per questo proclamato “Padre dell’Europa”).

Anche per questo, e non è la prima volta, ho associato tale ricorrenza al desiderio che coltivo, pure nell’attuale veste sindacale, dopo avere operato per gran parte della mia vita e in prima linea nel mondo delle carceri, di vedere finalmente affrontato, in ambito europeo, il tema della pena e delle modalità della sua esecuzione. Convinto come sono che soltanto dove si dovesse intervenire seriamente con una “vision” sovranazionale e all’interno degli stati che formano la Ue, tanti problemi, che sono anche drammi, sarebbero risolti. Sono infatti certo che, ancora una volta, la mente dei grandi filosofi e giuristi che hanno contraddistinto, soprattutto in Italia, la sapienza “giuridica” e umanistica, accompagnata dalla concretezza, che contrassegna quella che molti chiamano “la Vecchia Europa”, ma che in realtà è un’Europa mai portata a pieno compimento del suo potenziale culturale, scientifico, valoriale, saprebbe per davvero modificare in meglio lo stato delle cose. Tornando a essere, anche in un campo così insidioso come quello del mondo delle carceri, un punto di riferimento globale e, mi sia consentito di dire, morale.

L’idea progettuale, di fiato europeo, che spero vivamente venga accolta come primizia dal nostro Governo, è quella che possa impegnarsi a proporre al nuovo Parlamento europeo e alla Commissione europea, attraverso l’autorevole voce della nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, la realizzazione in Italia, in particolare nella regione transfrontaliere dove risiedo, il Friuli-Venezia Giulia, e nella quale ho registrato una chiara volontà favorevole, di realizzare il primo istituto penitenziario “targato” Ue, cioè il prototipo di una struttura carceraria evoluta, che faccia finalmente chiarezza su come debba essere immaginato, in termini moderni e progrediti, rispettosi della dignità umana e delle regole penitenziarie europee, uno stabilimento penitenziario, destinandolo ad accogliere quanti detenuti si trovino in custodia cautelare o siano stati condannati per reati di evidente natura europea. Ad esempio, quelli assai numerosi, di competenza dell’Eppo (European Public Prosecutor’s Office = Procura europea). Sarebbe giusto, evitando, al contrario, che succeda quanto, invece, accade oggi. E cioè che ogni singolo Stato debba doversene fare carico, ove la persona sia incarcerata sul proprio territorio, piuttosto che “messo in conto” alla stessa Unione europea.

Ma questo non per mero egoistico calcolo erariale, ma per coerenza di sistema e di corresponsabilità. Quanto si propone, tra le altre cose, risponderebbe pure a motivi prudenziali e di opportunità securitaria, oltre che di ragionevolezza. In quanto, a ben guardare, dovrebbe essere primario interesse della Ue che alcun serio rischio di condizionamento – diretto o indiretto, minaccia o maltrattamento proveniente dall’esterno – un oppure rischio di inquinamento delle prove possano influenzare le persone detenute, le cui condotte e azioni, presunte o accertate, abbiano costituito un evidente danno di rilevanza economica sulla stessa Unione, riflettendosi poi sulle finanze ed economie di tutti gli Stati aderenti. Non solo, ma soprattutto si avrebbe un modello di carcere “esemplare” da parte di tutti i governi della Ue, divenendo un obiettivo punto di riferimento per lo stesso Consiglio d’Europa, affinché quest’ultimo, promuovendone l’adozione, possa influenzare i 46 Stati che lo costituiscono, onde, così, potersi ridurre efficacemente il numero di ricorsi presso la Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di condizioni disumane e degradanti delle carceri.

Si converrà, infatti, come le reiterate condanne della Cedu espongano, purtroppo a ragione, non soltanto gli Stati direttamente interessati, ma finanche l’immagine complessiva della stessa Unione europea. La quale, vantandosi di costituire non solo un importante spazio economico condiviso tra tutti gli Stati membri, bensì pure una realtà progredita di nazioni, incardinata sui principi di legalità, risulta però nei fatti carente e contraddittoria sullo spinoso tema delle carceri, rendendo così ipocrite quelle affermazioni solenni che celebrano lo Stato di diritto e i principi di legalità tipici di ogni ordinamento giuridico davvero democratico.

Com’è noto, anche i recenti fatti di cronaca imporrebbero decisioni di quelle che si auspicano in tema di carcere europeo. E non solo riferendosi al caso simbolico della vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, per la vicenda penitenziaria patita, riferita al caso non ancora chiarito del Qatargate (al di là di ogni grave responsabilità ancora d’accertare, resta il fatto altrettanto grave che la stessa pare abbia subito delle condizioni di vita carcerarie e di limitazioni personali particolarmente gravi ed umilianti, pure perché madre di una bambina di due anni), ma anche per le vicende attuali. Quelle, ad esempio, riferite alle lamentate condizioni detentive e processuali che sarebbero patite dalla detenuta italiana Ilaria Salis. Circostanze che, in termini roboanti, hanno visto muovere una critica feroce verso il sistema giudiziario e penitenziario ungherese ma, nemesi della storia, basterebbe ricordare i fatti “italiani” dei giorni scorsi, riferiti ai presunti episodi di violenza perpetrati nei confronti di detenuti minorenni presso il carcere Cesare Beccaria di Milano, per poter affermare come nessuno Stato possa considerarsi pienamente rispettoso delle regole.

Le predette questioni, infatti, rappresentano la dimostrazione plastica di come non si siano armonizzati, nel succedere del tempo e a livello Ue, i diversi modelli penitenziari dei singoli Stati aderenti. Mancando, in realtà, uno stereotipo legale e condiviso di istituto carcerario, nonché uno standard organizzativo e di servizi dedicati alla persona, ancorché detenuta, indagata o condannata che sia. Alimentando, così, spesso in modo ondivago e con un andamento carsico, una sfiducia generalizzata verso le istituzioni tutte, capace di indebolire lo spirito unitario europeo sui fondamentali temi dello Stato di diritto e della giustizia. Soprattutto allorquando, in relazione al vantaggio politico che ne può derivare, la questione venga ostentata, anche in modo semmai esagerato e pretestuoso, da quanti vogliano lucrare consenso ideologico al riguardo.

Non certamente potrà, inoltre, affermarsi che il tema che si propone sia di minore importanza rispetto ai tanti che pure affollano l’agenda europea (cambiamento climatico, alla tutela del mondo agricolo e dei prodotti Dop e Igm, lotta ai monopoli e posizioni dominanti che non consentono di assicurare la libera e leale concorrenza sui mercati, necessità, sempre più avvertita, di dare vita ad un esercito europeo, libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi, dei capitali, tutela della salute, fiscalità, politiche sociali), visto come anche quello che stiamo trattando incida, eccome, sui livelli di rispetto e di dignità che si debba nei confronti di qualunque cittadino europeo, ancorché indagato o condannato per reati di matrice europea.

Fatta questa premessa, e tenuto a mente che di fatto già da anni sta andando a formarsi una procedura penale europea ed un diritto penale europeo, con un proprio catalogo di reati, nonché che è stata costituita la Procura europea (Eppo-European Public Prosecutor’s Office), divenendo operativa dal 1° giugno del 2021, sarebbe per l’appunto il caso che fosse proprio l’Italia, anticipando altri Stati, a farsi promotrice di un modello innovativo, di carcere europeo, davvero rispettoso dei principi sanciti dalle “Regole penitenziarie europee”. Le quali, com’è noto, vincolano gli Stati aderenti al Consiglio d’Europa, minandone, per i Governi che se ne disinteressano, quantomeno la reputazione (chissà che proprio questo non abbia in qualche modo inciso nella decisione russa di non volerne più fare parte, perché altrimenti tenuta a rispettarne i dettami).

Sono speranzoso che, pure in vista delle prossime elezioni europee, vi saranno dei politici che vorranno farsi carico di questa sfida anche di modernità giuridica, pure perché potranno contare sul fatto che già un Comune italiano si è fatto avanti in tal senso, mi riferisco a Gorizia, il cui sindaco, Rodolfo Ziberna, già da anni mi sostiene in questo progetto, il quale saprebbe anche indicare il sedime “pubblico”, demaniale, dove questa opera architettonica, moderna, immaginata anche come sperimentale per contrastare il rischio di malattie endemiche (ricorderanno i lettori tutte le problematiche sorte nelle carceri durante il periodo “Covid”)e dove opererebbe un personale penitenziario specializzato proveniente da tutti gli stati Ue che vi aderissero – potrebbe segnare un nuovo rinascimento italiano e europeo su una delle questioni più difficili d’affrontare in termini di reale rispetto delle norme, sia nazionali che dettate dalle “Regole penitenziarie europee”.

Proprio il Comune di Gorizia, nel 2020, mi commissionò, a titolo ovviamente gratuito, uno studio al riguardo. Ed esso era coerente con lo spirito transfrontaliero ed europeista che ormai da anni aleggia in quella città, una volta confine “triste” dell’Italia, a motivo dei segni terribili che le guerre le avevano inflitto. Ma che, come per l’arte del Kintsugi, utilizzando i principi di solidarietà e di comunità allargata come se fossero foglie d’oro o di argento, ha mostrato di saper ricomporre i frammenti di popoli che avevano sempre convissuto con reciproco profitto sociale, dando ai cocci insanguinati della guerra una veste tutta nuova, moderna, preziosa. Al punto che Gorizia con Nova Gorica saranno le città della Cultura europea del 2025: le cose non nascono mai per caso.

(*) Coordinatore nazionale della Dirigenza penitenziaria della Fsi-Usae

Aggiornato il 15 maggio 2024 alle ore 12:05