La politica, nel dantesco Belpaese, è davvero un bene comune, un sevizio per il popolo, per gli ultimi, per le disuguaglianze e la pace, per i giovani, le donne e i vecchi; si potrebbe continuare a seconda del posizionamento occupato nello scacchiere del potere, o ritenuto tale, dai manovranti di turno e dai loro oppositori. Un Paese davvero felice in cui è piacevole vivere serenamente, dove la dialettica politica, acerrima in apparenza, per interessati e superficiali osservatori, di fatto, si sviluppa in rassicuranti trame. Gli opposti, nello scambio di astiosi e retorici chiacchiericci, di malevole, ma inconsistenti, contrapposizioni trovano poi, nell’osmosi di opportuni reciproci respiri, una vicendevole gattopardesca rianimazione. Nella pubblica percezione, infatti, crisi e mala politica pugliese si compensano e si annullano con malaffare e scandalo ligure e così di seguito. Un Belpaese, certo, ma non lo è per i nostri vecchi e le loro pensioni, per la cura della loro salute, per il parcheggio nelle case, eufemisticamente chiamate di riposo, per l’insicurezza nel transitare sui marciapiedi ormai riservati a biciclette, monopattini e pattini, tutti a doppio senso di marcia in omaggio alla mobilità sostenibile, di fatto, assurda per tanti. Non lo è per il sevizio sanitario; quello di base trova, ormai in larga misura, solo nelle segreterie dei medici un’efficiente risposta agli aspetti burocratici per la richiesta di medicinali e ricette varie.
Nella mia libreria riposano alcuni volumi datati 1970 che trattano della progettazione dei servizi di assistenza domiciliare che avrebbero dovuto essere tra i fulcri della successiva riforma sanitaria che, neanche a dirlo, nacque solo nel 1993 con l’istituzione delle Asl nel cui ambito era previsto lo sviluppo dell’assistenza domiciliare intesa come: “Un sevizio strutturato ed organizzato in modo da offrire le proprie, rispettive prestazioni, all’utente presso la sua dimora”. Che dire? Oggi dai bambini ai vecchi siamo tutti noi ad andare alle dimore dei dottori. È superfluo dilungarsi sullo scandalo nazionale delle visite specialistiche. È tempo di chiudere questa premessa al nostro ragionamento non prima, però, di accennare a tre silenziose indegne patologie del Belpaese. La condizione carceraria, trattata molto pomposamente, nell’articolo 27 della Costituzione che recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Situazione penosa per la stessa vivibilità degli istituti, per il rapporto agenti detenuti, per il malessere diffuso che avvolge larga parte di quella popolazione. In 32 anni, 1.754 suicidi sono un drammatico documento, altro che rieducazione. Un raffronto, negli Usa le condanne a morte nel 2016 furono 20. L’Inps, irrazionale struttura che impatta, principalmente e maldestramente, sulla vecchiaia per la quale trasparenza, comprensibilità, semplicità sono caratteristiche del tutto fuori luogo. Di fatto, la quasi totalità dell’utenza ignora composizione e dinamica dei mensili mutamenti degli assegni pensionistici. Poi, l’intelligente innovazione burocratica con l’introduzione dello Spid ha rappresentato una chiusura, quasi ermetica, della comunicazione. L’Agenzia delle Entrate alle caratteristiche indicate per l’Inps è da aggiungere, tra l’altro, l’ulteriore missione che la statualità ritiene debba essere compito d’Istituto. Essere controparte, zelante fino all’eccesso, dei contribuenti anche in presenza di modeste dichiarazioni predisposte a rigor di legge. A proposito del nuovo rapporto di fiducia tra fisco e cittadino tanto sbandierato da fonti governative.
Cittadini in quanto sudditi, per lo stato della sanità, delle carceri, del fisco, della previdenza e della giustizia, estendibile ad ogni settore in cui lo Stato, tramite l’apparato politico-burocratico, funge da Dominus. Già, la politica, quanta lucidità dello storico americano Henry Adams nella sua affermazione negli ultimi decenni del secolo decimonono: “La politica pratica consiste nell’ignorare i fatti”. Sì, elencare crisi, turbolenze e criticità delle nostre società è compito dell’opposizione, assicurare imminenti riformismi è strategia governativa, ma con un alto tasso entropico della politica le posizioni tendono a veloci interscambi. “La politica che non c’è più”, diceva Nicola Matteucci. Quella politica che dia senso all’esistenza e non lo sbiadito strumento per l’affermazione di minuscoli effimeri poteri. “La vita degli uomini si riduce ad essere breve data la nostra incapacità ad adoperare il tempo”, sentenziava Seneca. E la politica, nella modernità, consuma, senza alcun ritegno, il tempo fuori dalla comprensione per le criticità, i disagi e le sofferenze umane.
Purtroppo, se questo è verità per la politica domestica, è ancor più disperante per la situazione internazionale dove il tempo non è sprecato per il nulla, anzi il suo incidere, in quest’epoca, è fonte d’indelebili preoccupazioni per il futuro del pianeta. Soffermandoci sui tre principi aristotelici riflettiamo sulla capacità dei poteri a comprendere il reale significato dei propri enunciati, sull’eventuale contraddizione tra loro e sul principio del terzo escluso utile a costruire ragionamenti coerenti. Bene, una panoramica disarmante, ne è esempio un cardine della politica internazionale, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg che mensilmente assicura che l’Ucraina diventerà un membro dell’Alleanza. È il personaggio che con un fantasioso pendolarismo delle sue affermazioni, in un decennio, non ha mancato d’inasprire i rapporti con la Russia: “Le dichiarazioni di Vladimir Putin confermano lo schema aggressivo della Russia”, 6 giugno 2015. “La Russia non rappresenta una minaccia per gli alleati della Nato e l’Alleanza mira a un grande partenariato con la Federazione russa”, 4 novembre 2016. “Il messaggio della Nato è che non vogliamo una nuova Guerra fredda. Non vogliamo una nuova corsa agli armamenti ma un dialogo politico con la Russia”, 28 dicembre 2017. “La Russia è una delle principali minacce mondiali”, 31 gennaio 2018. “Continueremo a sostenere gli afghani anche fuori dai loro confini, le loro forze armate sono abbastanza forti da poter resistere senza la presenza delle truppe internazionali”, luglio 2021. Il 15 agosto i talebani prendono il potere, il 30 agosto la Nato abbandona Kabul.
Impressionante per l’uomo che sovraintende alle manovre militari della Nato ai confini russi, come la Steadfast Defender 2024 a cui partecipano 31 Paesi e decine di migliaia di militari, lo stesso che l’8 maggio a Roma dichiara, fino alla prossima, che la Nato non ha intenzione di schierare truppe in Ucraina. E qui ci soffermiamo sui convincimenti di Emmanuel Macron e Mario Monti che non escludono l’impiego, il primo, di militari francesi, il secondo, genericamente, degli europei. Gli italiani, invece, hanno assicurato la non partecipazione. È proprio un’alleanza di tutto rispetto. Sui due statisti il discorso è più articolato, entrambi hanno avuto legami con la banca d’affari Goldman Sachs, del resto, come Mario Draghi e Romano Prodi. Il francese per la sua campagna presidenziale del 2017 ebbe finanziamenti dalla Goldman Sachs per due milioni 145mila dollari, da David Rothschild per 976.126 e da George Soros per 2.365.910. Il finanziere filantropo (sic) subito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina dichiarò: “L’invasione potrebbe aver segnato l’inizio della Terza guerra mondiale e la nostra civiltà potrebbe non sopravvivere, il modo migliore e unico per preservarla è sconfiggere Putin prima possibile”.
Visione strategica quella di Soros. Aveva immediatamente compreso l’evolversi del conflitto auspicato, ancor prima dell’intervento russo, dall’élite globale di Davos. In genere i conflitti volgono verso l’esaurimento quando si comprende che, al di là della reale situazione in cui si ritrovano i contendenti, il prosieguo sarebbe ancor più dannoso e del tutto inutile. Ragionamento, questo, quanto mai distante dall’odierno scenario ucraino-russo. La guerra deve protrarsi fino alla sconfitta di Putin, indipendentemente dai costi umani, dal caos euroasiatico conseguente alla crisi del Cremlino e da un certo coinvolgimento complessivo dell’Europa; costi pure un confronto atomico seppur con ordigni tattici. I davossiani, filosofi politici, sociologi planetari, demografi del post futuro, teologi globalisti hanno chiaro il collegamento con l’intellighenzia finanziaria e con i guru dei circoli progressisti statunitensi proiettati ad una diversa gestione del pianeta e ad un presunto nostro interesse per un nascente postumanesimo. In tutto questo le genti d’Europa? Inconsce, dormono il sonno del giusto, frastornate dalla politica domestica non avvertono che visioni e progetti sul futuro non sono patrimonio di un ormai terzo livello decisionale, quale quello della governance nazionale, che soggiace a chi individua, progetta e dispone le fondamentali strategie continentali. Subiamo un europeismo non europeo che trascende dalle radici e dalle aspettative, dalle nostre cattedrali e dalla voglia di un futuro condiviso, insomma, siamo ad un’Europa senza identità e senza tradizione, dipendente da ramificati e tenaci collegamenti di un mondialismo senza storia né futuro. Transizione e resilienza, passe-partout e parole d’ordine che hanno penetrato l’Occidente hanno coinvolto qualsiasi contesto, dai bambini all’Onu, dalle Istituzioni al Papato, ormai il processo educativo è in avanzato sviluppo. Non a caso il vescovo di Roma, per parlare del cambiamento climatico riceve, tra gli altri, Bill Clinton e Alexander Soros l’effettivo erede del padre George e di una religiosissima famiglia.
Sono di queste ore le dichiarazioni di Manfred Weber, presidente del Gruppo del Partito popolare al Parlamento europeo, sulla necessità di istituire una leva obbligatoria di un anno in tutti i Paesi Ue, e per essere primo tra i primi, sulla necessità di un’arma nucleare europea. Mai un soldato italiano in Ucraina la posizione del benevolo Antonio Tajani, leader del Ppe in Italia sostenuto da una lucida dirigenza che vede in un ruolo apicale Letizia Brichetto detta Moratti, transfuga di ritorno in Forza Italia causa accasamento elettorale. Se la Nato e l’Ue non sono in salute, il Ppe e la sua consociata italiana sono strategicamente infermi. E noi? Continuiamo a essere gente non di parte, con la presunzione di voler seguire il principio del terzo escluso, convinti che il Pianeta debba e possa assicurare una mutua sopravvivenza all’umanità, continuiamo a pensare al liberalismo come via per consentire all’individuo e alla sua responsabilità di godere quanto mai dei diritti naturali e delle libertà individuali, impensieriti per l’intensità dei confronti, non individuiamo autorità morali, istituzionali, politiche in grado di pensare non in proprio o per proprio.
Crediamo, anche, di dover fare nostra quella lapidaria espressione del filosofo anglosassone Gilbert Chesterton: “Benché io creda nel liberalismo, trovo difficile credere nei liberali”. È difficile credere e condividere prospettive e intendimenti europeisti e delle formazioni politiche operanti in loro appoggio, ancor meno quando i politici tentano di affascinarci con il loro avanspettacolo. Mentre chiudo questi pensieri la tivù annuncia una sorta di appuntamento epocale, il confronto tra due donne, presidente del Consiglio e leader dell’opposizione. Il giornalismo già scodinzola accendendo la nostra immaginazione sulla possibile vincitrice o vinta, sulle posizioni che saranno prese e contestate e via di seguito. Insomma un evento appassionante e festoso da far contenti i Borboni di Napoli con il loro motto feste, farina e forca. Nulla di nuovo sotto il sole, si diranno cose dette e poi ridette, ad eccezione dell’argomento centrale a cui teniamo: avranno idea della fine del conflitto in Ucraina? Lo anticipiamo, No! Le loro idee sono quelle di Biden che a loro volta sono quelle di Obama, Bush, Clinton, Soros, delle fondazioni Gates, Rockefeller, Rothschild e tanto ancora. Alle nostre contendenti basterà respirare in sincronia, una sorta di bocca a bocca, per attenuare eventuali spinose contrapposizioni e guadagnare quanto più un rianimante pareggio. Noi desideriamo ricordare Padre Giovanni Pozzi: “Viviamo in un’epoca in cui il silenzio è stato bandito. Il mondo è oppresso da una pesante cappa di parole, suoni e rumori. Credevano i babilonesi che gli dèi avessero inviato sulla terra il diluvio perché infastiditi dal chiacchiericcio degli uomini. Da Tacet.
(*) Direttore Società Libera
Aggiornato il 14 maggio 2024 alle ore 15:48