Roccella, censura et similia

Il beccheggiante bastimento della nostra democrazia.

 A quanto accaduto l’altro ieri a Roma nel corso degli Stati generali della natalità ed a quelli di Catania del 19 aprile, in sede di apertura dei lavori del convegno organizzato da Scienza & Vita, sezione di Catania, dal titolo La disforia di genere nei minori e la “carriera alias” negli istituti scolastici: questioni mediche, giuridiche ed antropologiche, si può attribuire l’appellativo di censura? Stiamo ai fatti: il 9 maggio, nel corso di un panel degli Stati generali della Natalità, un nutrito gruppo di giovani dalla platea hanno esposto alcuni cartelli e urlato “vergogna” all’indirizzo della ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, prima ancora che svolgesse il suo intervento. L’organizzatore, Gigi De Palo, ha quindi invitato sul palco una delle manifestanti. De Palo ha quindi precisato che gli Stati Generali della Natalità non sono organizzati dal Governo e ha poi riprovato a dare la parola a Roccella: ma le contestazioni sono proseguite e la ministra ha lasciato il convegno senza avere potuto prendere la parola.

In Sicilia, nel pomeriggio del 19 aprile, nell’aula magna del Rettorato dell’Università di Catania, erano ancora in corso i saluti dei rappresentanti delle istituzioni e, quindi, nessuno dei numerosi relatori aveva ancora preso la parola, quando prendeva il sopravvento un gruppo ben organizzato di una sessantina di giovani che impediva l’effettivo inizio del convegno, salendo con i piedi sulle poltrone dell’aula magna, sbandierando striscioni con slogan ostili e intonando cori da stadio contro i relatori  – e le associazioni che avevano organizzato il convegno – dando dei fascisti agli uni ed alle altre. Contestando la presenza dell’arcivescovo, invitato per i saluti quale rappresentante di una istituzione, e di qualche sacerdote anch’egli presente.

I giovani apostrofavano i relatori come transfobici, violenti e fascisti. Ribadivano più volte che non erano interessati ad alcun tipo di confronto – al quale, invece, gli organizzatori avevano riservato un apposito momento nel programma – e che il loro intento era quello di silenziare i relatori e che il convegno non si tenesse, riuscendo effettivamente nel loro intento in modo irruento. Dopo quasi due ore di inutili tentativi di richiamo a toni civili e proposte di confronto e appropriazione dei microfoni da parte di tali giovani per leggere dichiarazioni contro i relatori e le associazioni promotrici dell’evento, i relatori ed il pubblico interessato uscivano dall’aula magna ed il gruppo di contestatori invece vi permaneva, occupandola per un’altra ora circa ed appendeva quindi dal balcone che si affaccia su piazza Università degli striscioni di protesta contro il convegno ( per chi volesse verificare lo svolgimento dei fatti, Radio radicale, unica testata giornalistica presente il 19 aprile, nonostante molte altre fossero state invitate, ha pubblicato la videoregistrazione dei primi trenta minuti del convegno).

Se questi sono i fatti, si può forse dare risposta affermativa al superiore quesito: si è trattato di censura in entrambi i casi, perché è stata utilizzata la violenza, sia pure verbale, per impedire, in modo premeditato ed organizzato, a dei soggetti – peraltro qualificati, quali erano i relatori del convegno catanese, tutti docenti universitari ordinari, con curricula di grande prestigio – di esporre il frutto dei loro studi e delle loro ricerche, nel caso di Catania, ed il suo punto di vista, ad un ministro della Repubblica, nel caso di Roma. Come peraltro dimostrato dai filmati dei due eventi, alcuni dei volti dei contestatori erano i medesimi nelle due occasioni. Si è trattato, quindi, di gruppi ben organizzati, verosimilmente beneficiari di supporto finanziario da parte di terzi che si guardano bene di presenziare alle loro manifestazioni. A Catania, il 19 aprile, si è perpetrata, per di più all’interno di un’aula universitaria, una palese violazione di uno dei principi fondamentali – qual è quello della libertà di manifestazione del pensiero – della nostra casa comune che è la nostra Costituzione perché, con le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, voler mettere a tacere chi la pensa diversamente contrasta con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione.

Ed infatti non si può parlare, come invece qualche benpensante ha inopinatamente sostenuto in questi giorni, di mere contestazioni che i ragazzi avrebbero diritto di porre in essere: invero, la contestazione presuppone l’avere ascoltato una tesi che non si condivide e a cui si oppone una replica. In entrambi i casi succitati la contestazione ha invece anticipato la tesi, peraltro sconosciuta, di chi avrebbe dovuto parlare ed è stato anticipatamente zittito in modo violento. Purtroppo, i citati eventi palesano l’assai preoccupante esistenza di una parte di Paese che ritiene di potersi ergere a giudice morale di chi possa o non possa avere diritto di parola e di quali argomenti si possano o meno affrontare in pubblica sede, si tratti pure dell’Università, luogo istituzionalmente e naturalmente deputato al dialogo ed al confronto. Purtroppo, in entrambi i casi, i manifestanti erano per lo più giovani, i quali hanno adottato metodi violenti (la violenza verbale non è meno grave della violenza fisica) e squadristi, perché bene organizzati e con schemi che si ripetono uguali lungo lo Stivale.

Questo spiace e preoccupa molto, atteso che palesa un evidente problema di formazione nel nostro Paese: formazione a quei valori liberali e democratici, ampiamente tutelati nella parte prima della nostra Carta costituzionale, che dovrebbero generare nel senso civico di ciascun cittadino la repulsione per qualunque forma di autoritarismo, che impedisca, o anche solo limiti, l’espressione libera del pensiero. E allora va ricordato, con le sempre attuali parole del discorso del 1955 di Piero Calamandrei agli studenti milanesi, che “La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, […] ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica”.

Vigiliamo, dunque, sulle nostre libertà proponendo ai giovani, innanzitutto con le nostre vite, valori positivi ed entusiasmanti, che li facciano sentire partecipi di un cammino comune verso la bellezza dello stare insieme in amicizia e verità; diamo esempio di famiglie unite e gioiose, che, pur tra mille difficoltà, godono del piacere di ritrovarsi sempre insieme, fedeli nel tempo, mano nella mano. E non lasciamo che il pur beccheggiante bastimento della nostra democrazia vada a fondo.

(*) Presidente del Forum delle Associazioni familiari della provincia di Catania

(**) Coordinatrice regionale di Ditelo sui tetti

Aggiornato il 14 maggio 2024 alle ore 09:40