“Quando l’innocenza dei cittadini non è garantita non lo è neppure la libertà”: così ha insegnato uno dei padri nobili del liberalismo politico e della coscienza giuridica europea che ha condotto all’attuale forma dello Stato di diritto, cioè Charles de Montesquieu. Con la presunzione d’innocenza, giustamente elevata a garanzia suprema della libertà politica da Montesquieu, si evita la degenerazione tipica dei sistemi totalitari, cioè i processi sommari senza un adeguato accertamento dei fatti criminosi posti a carico dell’accusato. La presunzione d’innocenza è la cifra differenziante tra un regime giuridico di uno Stato di diritto e quello di uno Stato totalitario: nel primo, infatti, si è tutti innocenti fino a prova contraria, prova che peraltro deve essere fornita dalla pubblica accusa; nel secondo, invece, si è tutti colpevoli fino a prova contraria, prova che deve essere fornita dall’accusato. Esiste, insomma, una strettissima correlazione tra l’esistenza dello Stato di diritto e la presunzione d’innocenza, da un lato, e l’esistenza dello Stato totalitario e la presunzione di colpevolezza, dall’altro lato.
Simmetrica alla presunzione di colpevolezza dei regimi totalitari, durante la pandemia si è affermata, in modo quanto mai inedito nella storia, la presunzione di patologicità, per cui un cittadino sano è stato considerato malato fino a prova contraria e l’onere della quale è stato addossato al cittadino medesimo, che ha dovuto ripetutamente dimostrare di non essere contagiato, per esempio tramite tampone. Se con la presunzione di colpevolezza – nei sistemi totalitari – si comprimono e sopprimono diritti fondamentali come il diritto di difesa dell’imputato, nel sistema pandemico si sono compressi e soppressi i diritti fondamentali dei cittadini sani (lavoro, culto, circolazione, associazione, istruzione) i quali sono stati vittime della presunzione di patologicità e assoggettati a provvedimenti come i lockdown, le autocertificazioni e, in ultimo, il Green pass.
Ma cosa ha a che fare tutto questo con il caso Toti? Purtroppo, la correlazione c’è, sol che si indossino le lenti della logica giuridica e si dismettano quelle dell’ideologia (giustizialista e pandemista). Toti è sotto indagine e sottoposto a misure cautelari in attesa di giudizio e giustamente gli spetta il beneficio del dubbio, cioè il beneficio di quella presunzione d’innocenza che, tuttavia, durante la pandemia egli ha negato a milioni di italiani sostenendo i provvedimenti basati sulla presunzione di patologicità. Insomma, Toti gode di diritti costituzionali che ha negato ad altri. Sarebbe bene ricordare, infatti, che proprio sulla base della presunzione di patologicità (simmetrica alla presunzione di colpevolezza) Toti, nel luglio del 2021, aveva sostenuto la balzana idea di praticare il lockdown soltanto per i non vaccinati. Ancora nel luglio del 2021 non soltanto aveva definito come “minchiate” le critiche che erano state mosse dalle piazze nei confronti dell’adozione del Green pass, nonostante questo rappresentasse un oggettivo problema di ordine scientifico e giuridico, ma addirittura auspicava una riduzione dei diritti, dimenticando per un verso che certi diritti non sono concessi, ma naturali, e – per altro verso – che una autentica concezione liberale non può sposare l’idea secondo la quale il potere dello Stato può revocare e concedere diritti in base alla necessità o al proprio capriccio.
La mentalità giustizialista degli avversari di Toti i quali – pur in assenza di una sentenza definitiva – pretendono che Toti si dimetta e getti al macero tutta la sua carriera politica, è esattamene equivalente – per ideologicità, illogicità e antigiuridicità – alla mentalità pandemista con cui Toti pretendeva che – pur in assenza di risultati scientifici definitivi – si limitassero i diritti dei soggetti contrari al Green pass. Tutta la spiacevole vicenda giudiziaria che Toti sta subendo, dunque, dovrebbe indurlo a riconsiderare gli accadimenti pandemici e le posizioni che egli ha assunto in quel contesto, non fosse altro che per discostarsi da quella mentalità ideologica che così strutturalmente connota i suoi avversari e detrattori di sinistra che ne chiedono le dimissioni prima dell’accertamento giuridico oltre ogni ragionevole dubbio. Sarebbe bene che Toti passasse al vaglio della coscienza le sue esternazioni durante la pandemia, per assicurarsi di essere coerente non tanto con le posizioni dei No-pass, quanto piuttosto con l’autentico modo di intendere il diritto, cioè scevro da valutazioni di ordine ideologico, politico, o, perfino, sanitario. Toti farebbe bene a riflettere, adesso, sulla stretta simbiosi che lega la presunzione di colpevolezza che anima i suoi avversari e la presunzione di patologicità che lo ha animato durante la pandemia, poiché alla sovversione giuridica della prima corrisponde la sovversione giuridica della seconda; al giacobinismo giuridico della prima corrisponde il giacobinismo sanitario della seconda; alla strutturale antigiuridicità della prima corrisponde la costitutiva antigiuridicità della seconda. Qualora Toti non si avvedesse di tutto ciò sarebbe, ancora una volta, vittima più che dei propri stessi nemici primariamente di se stesso, poiché continuerebbe a negare la realtà stravolta dalla narrazione del pensiero unico pandemisticamente corretto, similmente a quel pensiero unico giustizialista che continua a negare la presunzione d’innocenza, anche e soprattutto la sua.
Aggiornato il 09 maggio 2024 alle ore 09:45