“ll più bello esemplare di fascista in cui ci si possa imbattere oggi è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è.”
(Leonardo Sciascia)
Sopita per almeno un decennio – lo stesso durante il quale ad occupare le stanze di Palazzo Chigi c’erano loro, al sicuro sui loro scranni, senza mai vincere da soli una singola elezione ma padroni della maggioranza relativa e maestri di alleanze improbabili coniugate al tempo presente e futuro, giochi della sedia declinati sul piano delle poltrone e giochi delle tre carte flessi in fatto di intrecci clientelari – e ringalluzzita sporadicamente da qualche sterile polemica alimentata da fatti di cronaca isolati, la lezione di Leonardo Sciascia ai “professionisti” dell’antifascismo è celebre e a ben vedere pare abbia intrapreso una curva di crescita esponenziale negli ultimi anni. E per ovvie ragioni.
Non cambia mai niente. E per questo va sempre peggio. A tal punto che ormai i giorni che precedono il 25 aprile trasmettono quasi angoscia, tanta è la consapevolezza circa le fesserie e le solite menate che si sentiranno e alle quali si farebbe bene a non prestare l’orecchio. E allora ho aspettato il 26, ad acque calme, quando i sedicenti antifascisti hanno ormai riposto nell’armadio i carnevaleschi drappi rossi e i vessilli identitari della resistenza; faranno la polvere per un anno, in attesa della prossima primavera, quando torneranno a propinarci simpatiche versioni della Liberazione, strumentalizzandola, come se fossero i soli a vivere nell’Italia Democratica repubblicana, quella che in realtà è talmente tanto antitotalitaria da non essere riuscita nella sua storia a far durare un solo Governo per l’intera legislatura. Praticamente la cosa più lontana politicamente da una dittatura che si possa immaginare: l’esasperazione della dottrina dell’alternanza, un Paese dove son caduti più governi che foglie dagli alberi. In ogni tempo, con ogni legge elettorale, con ogni maggioranza.
Ma continueranno a rimenarla ovunque con la solita pantomima del fascismo; non accenna a fermarsi, ovviamente, vista la solidità della maggioranza da quando il centrodestra è tornato al Governo. E aumenterà: il tema del presunto mussolinismo di Meloni e dei suoi ministri tira troppo in quell’ambientino radical di Capalbio, dopo qualche mese di libera riflessione a contatto con la natura in giro per le masserie del Salento: “Duce” di qua, “destra nera” di là, “pericolo di deriva autoritaria”, “Governo liberticida”. Come sempre il vocabolario è utilizzato a caso negli ambientini ideologizzati e di puro perbenismo. Tant’è che se i collettivi studenteschi impediscono a Daniele Capezzone e al ministro Eugenia Maria Roccella, con azioni squadriste, di condurre un convegno e una presentazione di un libro, quella è libertà d’espressione e di manifestazione. Uguale se capita al Presidente del Consiglio sul palco del congresso della Cgil.
Al contrario, invece, è ovviamente repressione del libero pensiero: così, quando i cordoni di polizia schierati per garantire l’ordine pubblico durante le manifestazioni non autorizzate dei soliti facinorosi perdigiorno reagiscono agli assalti dei pazzi invasati dei centri sociali e dei collettivi studenteschi (sintomo di una sinistra che ha perso completamente il controllo dei suoi “lati esterni” e riempie le piazze di scalmanati provenienti dal mondo anarchico, dal mondo delle Brigate rosse, dal mondo dell’Anti sistema violento), quello è un sopruso violento dello Stato, un erroneo ed eversivo utilizzo della coercizione. Non lo è, però, se le vittime della censura deliberata antidemocratica sono David Parenzo e Maurizio Molinari, il direttore di Repubblica, addirittura “due dei loro” se così possiamo dire, ai quali viene impedito l’intervento da una squadraccia di antidemocratici intolleranti in quanto ebrei e colpevoli di difendere le legittime posizioni dello Stato di Israele.
L’ultima trovata, il caso nazionale montato ad hoc qualche giorno fa sulla fantomatica censura di Antonio Scurati, scrittore antifascista ossessionato da Mussolini, è addirittura surreale. Sembra più che altro il solito tentativo da sinistra di esercitare vittimismo per aver perso il monopolio della parola e delle retoriche faziose che ormai non convincono più nessuno. Nonostante si tratti di una banalissima mancanza di accordo tra committente e prestatore d’opera, c’è un’idea stravagante nel mondo intellettuale e culturale legato al solito strisciante perbenismo per cui se la Rai e Scurati non trovano un accordo economico per un monologo di un minuto (così come succede mille volte all’anno in Viale Mazzini), quella è censura. E a sinistra non hanno perso tempo a montare il caso nazionale per cui “Tele-Meloni” è sempre più aggressiva e ha deciso di non mandare in onda un pensatore libero ed indipendente che porta con sé temi quali l’antifascismo e l’anti autoritarismo perché non condivisi dalla maggioranza di Governo e dai nuovi vertici Rai.
Non lo dicono, a monologhicchio ormai sdoganato sui social (pubblicato peraltro dalla stessa Presidente del Consiglio), che se esiste un certo fascismo è proprio quello di chi strumentalizza una ricorrenza tanto importante per la nostra Repubblica, quella del 25 aprile, per inveire con offensività e sputare di fascismo addosso al Governo e ai singoli membri dell’esecutivo sulla televisione pubblica pagato con i soldi dei contribuenti, in assenza di contradditorio in tempo di par condicio, ad un mese dalle elezioni.
Cosa vuoi che sia, la verità: banalmente, se la sinistra non avesse scatenato l’allarme a regime, il monologo di Scurati sarebbe risultato, passando sottotraccia, il solito urletto isterico del radical chic di turno; fagocitato dall’ombra dell’intellighenzia di sinistra, invece, ha ricoperto di comicità il suo autore sconosciuto. Lui, che come tutta la sinistra odia il denaro ma per un solo minuto di performance ha chiesto alla Rai 1800 euro per usare la tivù di Stato per un comizio politico contro Giorgia Meloni e, a compenso negato, tronfio di autostima ha iniziato ad accusare il Governo di esercitare il suo straripante potere contro un privato cittadino, dovrebbe ricordare che a dispetto del marasma generale che caratterizza qualunque cosa venga accostata all’attributo “pubblico” vige almeno una regola precisa in casa Rai, valida erga omnes e non in base all’appartenenza politica: un codice etico. E quello di Scurati sarebbe stato un inaccettabile uso privatistico della tivù, specie se accompagnato dalla pretesa di essere pagato (sia chiaro, con soldi pubblici) per sponsorizzare la sinistra tutta. Chissà che dice invece, sempre che ne esista uno, il suo personalissimo codice etico dopo aver provato a mettere in fattura antifascismo e libertà.
Poi per carità, l’ingenuità strategica Rai è evidente: un dirigente furbo non ci avrebbe pensato due volte e avrebbe dato risalto alle idiozie dell’avversario. Meglio buttare duemila euro che regalare alla sinistra piagnona un martire ideologico. Inoltre, fosse stato mandato in onda, la maggior parte degli ascoltatori avrebbe riso davanti a così tante mistificazioni (degne di un bimbo delle scuole elementari che deve scrivere il tema con le fregnacce che la maestra vuole sentirsi dire) e sarebbe passata come la solita menata sul fascismo, morto 80 anni fa insieme al duce e alle camice nere. Ma tant’è. “Tele-Meloni” e “epurazione Rai”. Chi glielo spiega alla grancassa social composta da automi irretiti – nel mondo sgangherato in cui tutti possono scrivere presumendo di avere qualcosa da dire – che condividono a destra e a manca il video della Bortone intenta a leggere il testo del monologhicchio – in un bieco tentativo della sinistra giornalistica di utilizzare il servizio pubblico per fare lotta politica in piena par condicio, trainando le staffette partigiane in una nuova Resistenza che, privilegio dei nostri tempi, non ha nessun regime contro cui resistere – che basta accendere Rai 3 a qualunque ora del giorno per trovare conduttori e ospiti che sparlano di fascismo, insultano, diffamano membri del Governo manco fosse il Gran
consiglio del fascismo.
Anche quelli sono pagati con gli stessi soldi pubblici; anche quelli sono liberi di dire quello che vogliono. E sono sempre lì, in onda. Senza censura, al massimo rischiando qualche grossa querela (ma dal momento che la responsabilità è personale saranno anche fattacci loro). E davanti ad un monologo del genere chi va a chiedere agli imbevuti ideologici che gridano al regime, quelli del mondo in cui qualcuno ha permesso loro di credere davvero che uno valga uno, quale tipo di servizio pubblico abbiano in mente? L’utilizzo politico privatistico delle reti pubbliche è qualcosa che possiamo accettare da cittadini? Possiamo pagare il canone per sentire un insigne scrittore che fa uno sproloquio contro il Presidente del Consiglio senza alcun tipo di contraddittorio? E menomale che proprio l’altro giorno Roberto Saviano spiegava che la destra di Governo è violentissima: i censori che accusano i censurati di essere antidemocratici; i soliti metodi staliniani per intimidire e silenziare. E chi non si adegua alle loro verità, per questi razzisti antidemocratici dovrebbe scomparire dalla faccia della terra.
Pier Paolo Pasolini, che era un gigante, non a caso parlava di “fascismo degli antifascisti” riferendosi a quella frangia dell’antifascismo che tanto piace agli azionisti di sinistra che oggi vogliono dettare legge e pensiero. Ma quella dei buoni e dei puri è un’intellighenzia presso la quale non ci si accrediterà mai (non che ce ne sia la voglia da queste parti) perché qualunque parola, qualunque discorso o esternazione, qualunque gesto, è sempre troppo poco.
Si, i fascisti di sinistra ritengono che per essere abilitati alla discussione sia necessario prima dichiararsi, a priori, a favore delle loro verità. E dunque ti chiedono il patentino di antifascismo senza dichiararsi, però, contrari ad ogni forma di dittatura. Sarebbe l’ora di smetterla di prestare l’orecchio alla prepotenza morale di quelli che credono di stare un gradino sopra – in quanto dotati di purezza e civiltà infinita – e che chi sta al piano di sotto debba essere costretto, prima di affacciarsi al dibattito, a recitare la formuletta di accredito e condivisione rispetto alle idee che stupidamente (ma forse ci sono anche riusciti) hanno tentato di ergere a verità assoluta. In realtà, però, non lo sono; e “Buongiorno signori puri, posso entrare in punta di piedi? Sono antifascista, antirazzista, partigiano” non è il biglietto da visita da presentare a Largo del Nazareno o a Via Cristoforo Colombo semplicemente perché Pd (e affini) e La Repubblica non rappresentano nessuno rispetto al quale chiedere permesso.
Sia chiaro, non perché non sia civilmente scontato ritenere antifascismo e antirazzismo valori della Repubblica ma perché in questo Paese non esiste – anche se l’alta intellighenzia ha provato paradossalmente ad autoproclamarvisi nonostante fosse un’operazione esattamente contraria rispetto a quello che, quali grandi truffatori, professano – il rappresentante della correttezza istituzionale, il garante dell’adeguatezza morale, il controllore dei titoli di accesso al dibattito pubblico. L’infinito processo alla destra semplicemente fa ridere e lo screening del sangue democratico è un fiume di parole bugiarde; e allo stesso modo la Resistenza è quell’esperienza storica che la sinistra ha travisato e ha sempre utilizzato per contrapporre ai suoi avversari politici – ritenuti non abbastanza antifascisti – la propria verginità partigiana.
Non si comprendono però le ragioni per cui coloro che si considerano i custodi unici dei valori della Liberazione ne neghino allo stesso tempo l’efficacia proponendo una divisione immaginaria tra italiani compiutamente democratici ed altri (presumibilmente la maggioranza visti gli ultimi risultati elettorali) che pur non dichiarandolo parrebbero sognare un ritorno a quei periodi di negazione delle libertà.
Eppure nessuna vergogna nel cercare di propinare un’unica verità, la sola possibile ed
inoppugnabile. È il curioso cortocircuito comunista: danno agli altri dei “fascisti” ma vorrebbero imbavagliare chi non la pensa come loro. Il totalitarismo dei buoni e dei giusti per definizione. E l’antifascismo è una scusa ipocrita per criminalizzare chi non la pensa come loro; in soldoni, sarebbe un pericolo fascista chiunque non abbia idee di sinistra. Ancora meglio, come scherza Capezzone, se attualizzato alle vicende elettorali risulta che nella pratica diventa fascista ogni partito non di sinistra che supera il 10 per cento. Il mantra dell’antifascismo è la via comoda per una sinistra senza temi. E fin qui, l’analisi è presto fatta: predizione di 20 anni di Governo di centrodestra in assenza di temi ed idee all’opposizione e benservito ai rosiconi. Il problema è più profondo se il fascismo esiste davvero ed è dall’altra parte della barricata.
Epurato con sorriso divertito il discorso sulla possibilità che rischiamo una dittatura (l’unica di cui siamo vittime è quella delle scemenze di una certa militanza antifascista per interesse), a fascisti morti, a Mussolini morto, con la Costituzione democratica Repubblicana in vigore da 80 anni dovremmo imparare ad attualizzare il messaggio che la Festa della Liberazione porta con sé. Guardiamo a quel Paese che per la prima volta ha festeggiato il 25 aprile senza gli ebrei, ossia senza le vittime per eccellenza dell’orrore delle dittature che ci raccontiamo. E non perché abbiano preferito non esserci: sol perché è cambiato il clima nel Paese. Perché hanno paura di manifestare. E questo va detto oggi, domani, dopodomani, e poi il giorno dopo, e quello ancora successivo fino al prossimo 25 aprile. “La peste si è spenta ma l’infezione serpeggia”: il motivo è semplice ed assurdo nella sua gravità.
C’è una certa sinistra che in questo Paese, oggi, si vede messa con le spalle al muro rispetto alla sua ignobile pochezza e ipocrisia: quella ancorata al moto che animava i partigiani comunisti che agivano con l’intento unico di abbattere un regime per instaurarne un altro. A loro cosa interessava, nel 1945, di ebrei deportati e di privazioni delle libertà? Il problema era solo quello di essere stati messi all’angolo da un dittatura. Oggi quel sentimento sembra essere tornato: e dunque in che modo dovrebbero interessarsi all’odio verso gli ebrei che dilaga e si propaga a macchia d’olio in tutta Europa? Per quale assurdo motivo ci aspettiamo si interroghino davanti a piazze radicalizzate che fanno il tifo per il terrorismo con cori osceni, grida di stampo jihadista e antisemita, inneggiando all’uccisione degli ebrei? Perché dovrebbero storcere il naso davanti alle manifestazioni di finto pacifismo di folle aggressive che si trasformano in cortei di sostegno di Hamas, le stelle di David disegnate sulle porte delle case ebree a Parigi, bandiere israeliane strappate e date alle fiamme nelle più grandi città europee? E perché dovrebbero ragionare delle libertà individuali e dei valori che la democrazia porta seco?
Macché, è il mondo al contrario da quella parte: al diavolo gli Stati Uniti (che 80 anni fa la Liberazione l’hanno fatta davvero infilzando i comunisti e le loro bieche aspirazione di instaurare un’altra dittatura), l’Occidente e quel deplorevole Stato Israeliano oppressore, al diavolo gli ebrei sionisti –- eccoli, i seguaci del pensiero complesso, accecati dall’odio antiamericano e anti israeliano; se fosse vivo oggigiorno difenderebbero anche Adolf Hitler pur di seguire il loro livore ideologico – al diavolo le libertà soggettive sancite dalla Costituzione: quindi al diavolo anche voi che la pensate diversamente da noi, tacete. O vi facciamo tacere noi, così come ci hanno insegnato i nostri compagni di giochi Alfredo Cospito e Barbara Balzerani, quelli che i nostri maestri ricordano con ammirazione dalla cattedra dell’aula universitaria e, ispirati dal loro agire, dalla cattedra dell’aula di liceo ci ricordano di quanto sia giusto ammazzare di botte chi la pensa diversamente.
Tacete o vi zittiamo noi così come abbiamo fatto con le aggressioni censorie al Ministro Roccella al Salone del Libro, ai giornalisti di destra durante i convegni organizzati nelle università, ai senati accademici riuniti per discutere delle collaborazioni interateneo con istituzioni universitarie israeliane, al Presidente del Consiglio sul palco della Cgil. O è quello che diciamo noi o non è: e assaltiamo i commissariati di polizia, picchiamo i poliziotti e se i cordoni di pubblica sicurezza fanno quello per cui sono pagati andiamo a piagnucolare in tivù perché il Governo fascista utilizza la celere per sopprimere le nostre libertà. E nel frattempo mettiamo a ferro e fuoco le città contro il genocidio palestinese, contro i barbari sionisti che conducono una crociata nei confronti di quello che considerano l’eretico islamista; e manifestiamo con ferocia contro gli occupanti ebrei – fascisti – che da 70 anni conducono con crudeltà una segregazione civile.
Noi, gli antifascisti, alle manifestazione di piazza contro i nazisti usurpatori, sfiliamo con le bandiere arcobaleno per la Palestina, stracciandoci le vesti per i diritti della comunità Lgbtq; e sfiliamo con i colori della pace affianco alle bandierone di Hamas; manifestiamo e facciamo casino con le femministe dure, quelle che piazzano bombe nelle sedi delle associazioni Pro-life perché sposiamo la loro battaglia al fianco della grande democrazia Iraniana in nome della libertà, e il 25 aprile ricordiamo la Liberazione dal nazifascismo con gli stendardi delle democrazie vessate dall’invasore: quelli della Palestina e della brigata Al-Qassam. Insultando l’ebreo, dandogli la caccia, prendendoli pubblicamente a calci.
Certo, fa ridere; ma è il disegno che da un anno e mezzo a questa parte la sinistra nostrana caldeggia. È lo scempio dei ProPal nostrani che ieri, durante il peggior 25 aprile di sempre, con le bandiere italiane sostituite da quelle palestinesi e di Hamas hanno dato prova indiscutibile del fatto di essere i nuovi nazisti (il non plus ultra dell’idiozia festeggiare la liberazione dal nazifascismo sventolando le bandiere di chi vorrebbe annientare il popolo che proprio il nazifascismo ha cercato di estinguere) e credere davvero nei valori di intolleranza che la bandiera dei terroristi porta con sé; è lo schifo che ieri, durante le parate per la Festa della Liberazione, è andato in scena attraverso le ennesime aggressioni alla Brigata Ebraica col complice silenzio assordante dei teorici del pericolo fascismo a convenienza.
Sì, la sinistra italiana ha gettato la maschera in maniera definitiva, sta dalla parte della Russia, liscia il pelo all’antisemitismo e all’islamismo radicale. Infatti non protesta, non si oppone a questo scempio, a questo calderone delle incoerenze; no, la sinistra non si indigna davanti a questa sublimazione dei paradossi, anzi: alimenta il cortocircuito dell’associazionismo Lgbtq che non ha idea di cosa capiterebbe loro in Palestina, delle organizzazioni neo femministe che non hanno idea di quale sia la condizione della donna in Iran (eppure mai una parola, i problemi sono il presunto patriarcato che permea la società italiana e il fatto che “il Presidente” Meloni non si faccia chiamare con l’articolo determinativo femminile). E i gruppi organizzati che si prestano al gioco testimoniano un deficit cognitivo pericoloso che sì, sfocia nel ridicolo per quanti controsensi e dissonanze cognitive evidenzi, ma aizza le piazze di giovani irretiti che coltivano odio verso i simboli di libertà che il mondo in pace nel quale vivono gli ha tramandato; e questo giochino degli estremismi minoritari manovrati per indirizzare la corrente di pensiero e appropriarsi del campo minato dei paletti ideologici è un esperimento che presto la sinistra non riuscirà più a controllare.
In questo circo degli orrori si scorge, incidentalmente, una sola nota positiva: l’aver tirato per l’ennesima volta una linea tra noi e loro. E chi sta ancora con questa sinistra è un collaborazionista senza scusanti, ridicolizzato sull’altare dell’appartenenza ai buoni per definizione ogni volta che tenta di alimentare qualche distinguo finto pacifista, iniziando qualche banale pippotto sulla democrazia e il fascismo. Ricordiamolo, attualizzando il messaggio del 25 aprile: questi benpensanti inneggiano ad un nuovo antisemitismo dove addirittura Liliana Segre (fino a sei mesi fa sembrava essere la persona da proteggere, il simbolo del Pd contro il pericolo fascista, era la vittima strumentalizzata della surreale polemica per cui a Milano, alla prima della Scala, non poteva subire la beffarda offesa del pericolosissimo Presidente del Senato seduto affianco a lei; le follie comiche dell’antifascismo militante sbugiardate, come sempre, nel giro di qualche mese) oggi è colpevole di essere ebrea. Le frange che in nome e per conto di questa sinistra ignobile ed ipocrita parlano al paese con la violenza dei centri sociali, da sei mesi a questa parte chiamano ‘nazisti’ gli ebrei perché Israele legittimamente si difende da un gruppo terroristico che tiene sotto scacco la Palestina utilizzando la popolazione come scudo umano; e a furia di menarcela con manifestazioni violente che sono ormai cronaca quotidiana hanno creato un clima di odio nei confronti di Israele che ieri ha rovinato (per causa loro, non certo del resto d’Italia) il ricordo delle gesta eroiche della grande comunità della Resistenza dal fascismo: i cattolici, i liberali, i socialisti, i repubblicani, i monarchici: tutti meno che i partigiani con la bandiera rossa, criminali che fucilavano indiscriminatamente i propri connazionali. Questo, anche a protezione della continua strumentalizzazione della comunità ebraica, va cancellato dall’idea di una storia ben raccontata affinché si possa vivere il 25 aprile con consapevolezza storica, lontani dai rigurgiti d’intolleranza che la sinistra riesce a diffondere senza scrupoli.
La destra si svegli: come spiega Marcello Veneziani, se l’antifascismo nasce con l’unica missione di abbattere l’antagonista da cui prende il nome, si dichiari logicamente finito anche quale antidoto (non può sopravvivere all’antagonista che doveva distruggere); e se la festa della Liberazione si regge su una faziosa ipocrisia che viene utilizzata contro il pluralismo, scaraventata come una bottiglia molotov contro l’avversario di turno, si torni a celebrare democrazia e libertà accantonando una volta per tutte il monopolio - viziato storicamente - della memoria rossa per cui il 25 aprile diventa la festa delle tessere di partito, delle due italie, del fossato d’odio contro gli italiani del giorno prima. La destra racconti la storia, faccia opera ermeneutica, spieghi alla sinistra imbevuta di ideologia di come Scurati, durante il ventennio, probabilmente avrebbe avuto la tesserina verde del Pnf e all’indomani dello Liberazione sarebbe diventato il più puro dei democratici pluralisti; lo diceva Winston Churchill, anticipando di qualche decennio il riferimento di Fabrizio Catalano al “Paese vigliacco”: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti, il giorno successivo 45 milioni di antifascisti e partigiani. Eppure dai censimenti non risultano 90 milioni di persone”.
La destra spieghi in modo capillare che il 25 aprile è divisivo solo per la sinistra quando al Governo non c’è una maggioranza di sinistra; e che lo è perché non ha ancora fatto i conti con la propria storia liberticida e antidemocratica. Il centrodestra di Governo, finalmente, attualizzi una volta per tutte la ricorrenza e racconti come il 25 aprile debba essere la festa di tutti gli italiani che credono nel valore della libertà, con buona pace di chi pretende di impossessarsene per usarla come corpo contundente, tradendone lo spirito e il significato. Se è questo, allora viva la libertà; e se è un modo per celebrare i valori democratici, viva il 25 aprile. Ma fin quando questo non sarà patrimonio acquisito, buon lavoro a chi diffonderà il verbo; e se non sarà la destra, non lo farà nessuno. Perché a sinistra il tempo della dialettica è terminato.
Aggiornato il 26 aprile 2024 alle ore 12:15