A 80 anni da via Rasella e dal massacro delle Fosse Ardeatine (23-24 marzo 1944), è iniziata finalmente a venire a galla la verità, nonostante i decenni di silenzio o, al massimo, delle verità della storiografia ufficiale. All’esplorazione dei tanti punti oscuri e ambigui di questa vicenda – uno dei momenti meno gloriosi della Resistenza – è dedicato il saggio Via Rasella, 80 anni di menzogne. Scritto e autoprodotto da Pierangelo Maurizio, giornalista investigativo, già collaboratore, in passato, di Repubblica, L’Indipendente e Il Tempo (autore anche di libri sui casi di Danilo Restivo e David Rossi-Monte dei Paschi di Siena). Un saggio autoprodotto perché, per esso, l’autore non riuscì a trovare, nel 1996, neanche un editore disposto a pubblicare un testo di storia davvero controcorrente. Oggi, 80 anni dopo quelle vicende, Maurizio ha ripubblicato – sempre a sue spese – il libro, in nuova edizione. È doveroso soffermarci sui punti principali del discorso, nella consapevolezza che la storia vada letta sempre in ogni sua pagina e, soprattutto, mai con le lenti dell’ideologia. Avere cioè il coraggio di affrontare anche le pagine meno nobili della storia italiana del ’43-’45 – come già fatto più volte, del resto, da Giampaolo Pansa e da altri studiosi – non può che valorizzare la memoria della Resistenza.
Nel primo capitolo del libro e, più diffusamente, alle pagine 159 e seguenti, Maurizio elenca, in sintesi, le principali domande sulla vicenda cui, sinora, molti dei protagonisti non hanno mai dato risposte sincere ed esaurienti. Anzitutto, la questione dei morti anche civili dell’azione di via Rasella (di cui gli ex-partigiani, per tanti decenni, negarono l’esistenza). Piero Zuccheretti, che avrebbe compiuto 13 anni il 4 maggio 1944, all’epoca apprendista in un negozio di ottico in via degli Avignonesi – una parallela di via Rasella – è il primo: quel tragico pomeriggio passa proprio vicino al carretto della spazzatura contenente la bomba dei gappisti. Il suo corpo viene smembrato dall’esplosione. Per decenni, Piero è stato completamente ignorato. Nel libro, Maurizio pubblica il trafiletto del Messaggero del 27 marzo 1944 con la notizia dei funerali del ragazzino, “tragicamente perito nei fatti di via Rasella del 23 marzo”. Antonio Chiaretti, caponucleo di Bandiera rossa, formazione comunista concorrente del Partito comunista italiano (in quanto di simpatie trockiste), è il secondo: resta anche lui dilaniato dallo scoppio della bomba, come attesta un certificato del Comune di Roma dell’ottobre 1996 (mentre l’attestato rilasciato nel ’47 dall’Anpi l’aveva definito “fucilato”). Ma perché un nucleo di partigiani di Bandiera rossa si trovava, proprio il 23 marzo, a via Rasella, pochi minuti prima di un attentato organizzato, nei più minimi dettagli, solo da gappisti del Pci?
E, questione ancor più decisiva, in sostanza chi dette l’ordine dell’azione di via Rasella? Quale fu il ruolo avuto, in tutto, da Giorgio Amendola, all’epoca uno dei massimi responsabili del Pci? Amendola – come da lui stesso rivelato in seguito, in una lettera al liberale Leone Cattani – era stato proprio l’ideatore dell’attentato, poi eseguito da partigiani dei Gap, comandati da Carlo Salinari. Gli altri membri della giunta militare della Resistenza romana, sempre secondo quanto poi dichiarato da Amendola, diversamente dalla normale prassi, non furono prima informati del piano, per “ragioni di sicurezza cospirativa”.
Pochi giorni dopo i fatti di via Rasella e la rappresaglia nazista, il 26 marzo proprio Amendola chiese al Cln (Comitato di liberazione nazionale) romano di approvare l’azione: la giunta militare fu sul punto di spaccarsi, urtata dal comportamento del Pci e, probabilmente, imbarazzata dalle modalità terroristiche dell’attentato (in particolare il democristiano Giuseppe Spataro si oppose, chiedendo di emanare un comunicato di dissociazione). Poiché la giunta deliberava solo all’unanimità, non fu approvata nessuna delle due mozioni. E i comunisti, pur senza rompere col Cln, rivendicarono l’attentato autonomamente su L’Unità del 30 marzo.
Infine, osserva Maurizio, se non si può certo parlare di via Rasella e delle Fosse Ardeatine come “stragi di Stato”, perché rappresentano vicende troppo legate al contesto della guerra e dell’occupazione nazista, non si possono ignorare inquietanti analogie parziali tra via Rasella e altre gravi vicende della storia postbellica. Vedi anzitutto quanto avvenuto in via Mario Fani. Nel libro, infatti, l’autore riporta una sua intervista del 1997 a Josef Praxmarer, un superstite del “Polizeiregiment Bozen”, rintracciato a Bolzano: “Quel giorno – precisava l’anziano reduce – tutti gli ufficiali e i sottoufficiali, contrariamente a quello che avveniva di solito, si spostarono alla testa della colonna. E si salvarono”. Mentre Nestore Santini, ultimo sopravvissuto della banda filonazista di Pietro Koch, sempre intervistato anni fa da Maurizio, ammetteva di trovarsi, il 23 marzo, proprio a via Rasella con altri quattro uomini, in seguito a una “soffiata” avuta su un probabile attentato (difficile pensare, osserviamo, che non ne abbia subito informato i tedeschi).
Ma l’analogia tra via Rasella e via Fani sta, soprattutto, nel retroterra ideologico e mentale, tipicamente comunista, dei promotori delle due azioni, sia i gappisti di Carlo Salinari e Franco Calamandrei che i brigatisti rossi di Mario Moretti. Infatti, certi di trovarsi in piena ortodossia marxista della storia, si attendevano, dopo gli eccidi delle Fosse Ardeatine e di via Fani l’esplodere della rivoluzione proletaria. Senza considerare che la Roma del 1944 (e, a maggior ragione, del 1978) non era certo la Pietrogrado del 1917.
(*) Via Rasella, 80 anni di menzogne di Pierangelo Maurizio, editore Maurizio, 2023, 20 euro
Aggiornato il 25 marzo 2024 alle ore 11:56