Una visione più serena ed equilibrata delle problematiche ambientali porta a considerare gli effetti positivi dell’anidride carbonica
Non sembrano conoscere sosta le iniziative in sede europea che, nelle intenzioni dei proponenti, dovrebbero portare alla riduzione delle emissioni di Co2, al fine di contrastare un assunto riscaldamento globale, che deriverebbe essenzialmente dalle emissioni antropiche di anidride carbonica. Tra le ultime si colloca quella della Commissione Ue, che ha appena proposto una riduzione del 90 per cento delle emissioni nette di gas climalteranti nell’Unione entro il 2040. “Basandoci sui migliori dati scientifici a disposizione, chiediamo una riduzione del 90 per cento entro il 2040”, ha affermato Wopke Hoekstra, Commissario europeo per il clima, il quale ha poi aggiunto: “I provvedimenti legislativi per raggiungere l’obiettivo saranno attuati dalla prossima Commissione, che si formerà dopo le elezioni europee di giugno”. Quella prima richiamata costituisce soltanto una comunicazione a Consiglio e Parlamento, per raccomandare, nell’ottica dei richiedenti, anche la piena attuazione degli obiettivi del 2030, vale a dire una riduzione del 55 per cento delle emissioni rispetto ai livelli del 1990.
Un’altra comunicazione della predetta Commissione riguarda poi la gestione industriale del carbonio: cioè i processi di cattura, trasporto e stoccaggio dell’anidride carbonica prodotta dalle industrie, il cui settore dovrebbe essere completamente decarbonizzato entro il 2040 attraverso soluzioni a basse (o a zero) emissioni di Co2, come le energie rinnovabili, lo stoccaggio di anidride carbonica, il miglioramento dell’efficienza energetica, ma anche l’uso dell’energia nucleare. Si tratta di iniziative che, al pari delle precedenti e di quelle che in prosieguo non mancheranno di essere avviate, si muovono sbrigativamente in un solco già tracciato e all’interno della visione radicalmente interventista della politica ambientale e del correlato assioma di presunta incompatibilità del capitalismo con la conservazione dell’ambiente. Esse, però, non prendono in alcun modo in considerazione che i cambiamenti climatici non sono affatto una novità e che l’anidride carbonica non è un inquinante né un gas tossico. La stessa, in realtà, “è benefica per l’ambiente perché è il cibo delle piante, la base della vita sul nostro pianeta, e più ce n’è, più è verde la Terra, più resa avranno i raccolti” come segnalato dallo studioso Giuliano Ceradelli. Produce, inoltre, un effetto energetico in quanto – ha prospettato Alex Epstein – amplifica “la nostra capacità di adattarci al clima, in modo da massimare i benefici che traiamo da un clima mite e da piogge abbondanti e minimizzare i rischi connessi alle ondate di caldo e di freddo e alle siccità”.
In sostanza, l’anidride carbonica svolge “il ruolo di mattone fondamentale della vita sul pianeta”, come ha felicemente prospettato Luigi Mariani, il quale ha anche aggiunto che dovremmo riflettere “sulle implicazioni positive dell’aumento dei livelli atmosferici di Co2. A questo proposito, secondo i dati di Campbell et al. (Campbell et al. 2107) e Haverd et al. (Haverd et al. 2020), in assenza del global greening guidato dalla Co2 si avrebbe una diminuzione rilevante della produzione agricola con impatti negativi significativi sulla sicurezza alimentare globale”. Vi è pure da considerare che una eventuale progressiva riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica arresterebbe il progresso e lo sviluppo della civiltà e farebbe diminuire considerevolmente i livelli di benessere della popolazione mondiale, che verrebbe altresì resa più fragile e vulnerabile agli eventi estremi.
A parte ciò, non sembra inutile rilevare che qualora il riscaldamento globale fosse reale ed effettivo, non avrebbe le conseguenze catastrofiche ipotizzate dagli ambientalisti ma dovrebbe essere semplicemente accettato come un sottoprodotto della civiltà industriale e un esito del progresso economico. In tal caso, infatti, gli individui non incontrerebbero grosse difficoltà per affrontarlo e risolverlo, rendendolo addirittura funzionale allo sviluppo e alla crescita economica, e all’aumento del benessere. A patto, però, di poter svolgere le loro attività senza interferenze delle istituzioni politiche-burocratiche, ostacoli della legislazione e opposizioni dei movimenti ambientalisti, i quali potrebbero persino portare a una paralisi dello sviluppo tecnologico, che rappresenta anche un processo composto da un insieme di operazioni tecnologiche, e impedire di affrontare i problemi ambientali che questo potrebbe invece risolvere: “Abbiamo bisogno di una crescita economica e tecnologica che possa svilupparsi liberamente – ha rilevato Murray Newton Rothbard – (…), grazie all’economia di libero mercato e non per mezzo di distorsioni e degli sprechi imposti all’economia mondiale dal sostegno forzato liberal degli anni Cinquanta”. Ossia, potendo decidere liberamente come affrontare al meglio gli aspetti particolari dell’eventuale emergenza climatica e quali cambiamenti apportare nelle loro esistenze e negli affari. Nel fare ciò, potrebbero avvalersi dei mezzi tecnici ed economici che l’industrializzazione ha messo a loro disposizione, nonché delle altre risorse che saranno in grado di produrre e utilizzare per affrontare le sfide ambientali, dall’inquinamento al cambiamento climatico.
Ovviamente, neppure nel congetturato caso di aumento del riscaldamento globale dovuto alle emissioni di Co2 si può o si deve arrestare la crescita economica e lo sviluppo, il cui concetto include anche elementi qualitativi, i quali riguardano la struttura istituzionale e sociopolitica, che elevano il tenore di vita individuale, come l’esperienza ha del resto dimostrato. Ha anche dimostrato che essi si conciliano con l’ambiente, posto che mettono a disposizione dell’essere umano mezzi tecnici ed economici per dedicarsi alla sua tutela. Consentono l’emergere di altre risorse, l’affermazione di nuovi settori, la riqualificazione di quelli tradizionali, l’effettuazione di investimenti in nuove tecnologie, miglioramenti nelle tecniche produttive e organizzative, tutte cose che permettono un utilizzo più efficiente delle risorse ambientali e dell’impatto umano sull’ecosistema. Soprattutto, risolvere problemi la cui soluzione era o può sembrare impossibile, facendo altresì risparmiare tempo ed energie grazie al miglioramento delle tecniche già utilizzate. È pertanto un errore fatale ragionare in ordine al futuro in base alla conoscenza tecnologia e alla ricchezza attuale. La società del futuro sarà sicuramente molto diversa da quella attuale, più ricca e tecnologicamente avanzata, con beni e servizi oggi sconosciuti e insospettati, nella quale saranno stati risolti o non esisteranno più molti dei problemi odierni.
D’altra parte, se il riscaldamento globale fosse un dato di fatto, ossia basato studi e riscontri incontestabili, i continui progressi nella scienza e in altri ambiti aiuterebbero a superare gli eventuali problemi ambientali e si produrrebbero anche effetti positivi, con vantaggi nel bilancio netto dell’umanità. In sintesi, come ha scritto l’economista statunitense George Reisman: “Ad esempio, ci sono prove che suggeriscono che posticiperebbe l’inizio della prossima era glaciale di mille anni o più e che il livello più elevato di anidride carbonica nell’atmosfera, che dovrebbe causare il processo di riscaldamento, sarebbe di grande beneficio per l’agricoltura stimolando la crescita della vegetazione. Anche le stagioni di crescita potrebbero essere prolungate. Inoltre, qualsiasi perdita di terreno agricolo, come quella che dovrebbe avvenire nelle zone basse a causa dell’innalzamento del livello del mare, sarebbe molto più che compensata da vaste quantità di terreno nuovamente utilizzabile nel Canada centrale, in Alaska, Siberia e Groenlandia”.
A ciò si aggiunga che, come messo in evidenza da alcuni studi, all’incremento del calore sono collegati, tra gli altri, gli effetti positivi di minori spese per riscaldamento (confermate per l’Europa da una recente indagine di Eurostat) e la riduzione della mortalità da freddo, che secondo accreditati studi scientifici è ancora oggi del tutto prevalente rispetto a quella da caldo. Rebus sic stantibus sarebbe il caso di abbandonare il catastrofismo climatico, che si è fatto strada e sembra aver fiaccato ogni resistenza, e soprattutto la paradossale idea che per salvare il pianeta sia necessario ritornare agli albori della civiltà e distruggere quel che si è costruito in secoli di sacrifici. In una parola, arrestare il cambiamento, il quale, però, come ha ammonito Karl Raimund Popper “non costituisce un rimedio e non può portare la felicità. Noi non possiamo mai più tornare alla presunta ingenuità e bellezza della società chiusa. Il nostro sogno del cielo non può essere realizzato sulla Terra”.
Aggiornato il 21 febbraio 2024 alle ore 09:27