Al di là della sinistra e della destra
In un periodo storico in cui le ideologie del Novecento sono declinate verso un miserevole esizio senza attenuanti, a causa della loro irrefutabile e distruttiva utopia, portatrice insana di nefaste tragedie storiche e di estrema indigenza, nonché di squilibri geopolitici, di cui ancora oggi viviamo le perniciose conseguenze, emerge un nuovo fenomeno di polarizzazione politica. Invero, la trasformazione di quei partiti, un tempo seguaci ortodossi del dogma culturale di riferimento, in contenitori di estremismo finalizzato solamente al breve consenso elettorale, per poi irrimediabilmente tradire se stessi, ha portato a sinistra al cambiamento del Partito comunista italiano (dopo tanti passaggi) in un partito democratico di matrice cattolica di sinistra e radical-chic, ovvero il Pd (Partito democratico) e a destra alla nascita di un miscuglio di reduci del Movimento sociale italiano degli anni Settanta. E una pletora di clerico-conservatori nostalgici della Democrazia cristiana della corrente forlaniana, ossia FdI (Fratelli d’Italia). Questi due fenomeni sono sicuramente anche la diretta conseguenza del bipolarismo politico che con le diverse riforme elettorali si è venuto a creare, ma sono anche il risultato della distruzione del partitismo, tipico di quella che oggi viene definita dagli storici “Prima Repubblica”, in cui i loro interpreti politici, con le loro idee di grande spessore culturale e politico, rappresentavano la maggioranza parlamentare.
Gli incommensurabili danni compiuti dalla oramai accertata “finta rivoluzione” di Tangentopoli (basta leggere le ultime dichiarazioni di uno dei celebri protagonisti del pool di magistrati di quel periodo, ossia Gherardo Colombo), hanno determinato la scomparsa del confronto delle idee all’interno degli stessi partiti, per creare un sistema monolitico retto sul personalismo di un singolo, definito “leader”. La gestione personalistica, di ciascun partito di qualsiasi posizione logistica parlamentare, ha portato alla negazione della stessa funzione che dovrebbe avere ciascun partito, ossia il confronto. Quindi, secondo il leader del momento cambiano idee o programmi come si fosse di fronte a un avvicendamento di amministratori delegati, il cui unico scopo è il maggiore profitto, che nel caso specifico è rappresentato dal consenso elettorale. Proprio per il raggiungimento di questo obiettivo fine a se stesso, senza peraltro alcuna progettualità e senza alcun contenuto culturale di riferimento, la politica è degenerata verso la deriva degli slogan da “fast food”, con i quali si cavalca la rabbia del momento, con proposte politiche che ab origine sono inattuabili. E che gli stessi autori non tardano mai a smentire ogni qualvolta raggiungono il Governo.
Senza entrare nel merito dei singoli programmi elettorali traditi da tutti i presidenti del Consiglio (politici) che si sono avvicendati negli ultimi anni, possiamo comunque affermare che la mancanza di un fondamento politico-culturale ha portato solamente a un mero opportunismo elettorale da parte di costoro. E al conseguente loro bieco servilismo nei confronti delle istituzioni internazionali, a cominciare dai rapporti con l’Unione europea, ogni volta che con esse si sono misurate nel ruolo di capi del Governo. Al dunque, potremmo riassumere il tutto con una boutade del tipo: questi nostrani governanti nazional-popolari si presentano come incendiari durante le elezioni, e finiscono tutti per rivelarsi sempre degli inconsistenti pompieri per tutelare il proprio potere personale. Da tutto ciò si evince la necessità di coprire quel profondo vuoto di moderazione politica, che nella misurata competenza possa condurre le proprie battaglie politiche, non dimenticando mai di attuare quella sana e costruttiva realpolik di matrice liberale.
Ebbene è proprio così. Manca nel panorama politico quel contenitore di riferimento per tutti i liberali italiani, che un tempo si riconoscevano in particolare nel Pli (Partito liberale italiano), il partito di Luigi Einaudi, Benedetto Croce, nonché Giovanni Malagodi e tanti altri. Infatti, si sente il bisogno di quel Partito liberale che sapeva condizionare e indirizzare verso il buon senso politico e quindi inconfutabilmente fondato sui pragmatici principi liberali, i grandi partiti nazional-popolari. Oggi esiste un’autostrada politica che un nuovo Partito liberale potrebbe percorrere senza ostacoli. In particolare, mai come in questo momento esso potrebbe attirare il consenso di tutta la maggioranza degli italiani di ispirazione moderata che si sono sentiti traditi dal sedicente liberalismo di quei partiti, come ad esempio Forza Italia e non solo, che hanno finito solamente per essere degli interpreti politici degli interessi personali del proprio leader. Mai come in questa contingenza storico-politica emerge il bisogno di liberalismo, ma di quello vero, quello fondato sulla libertà economica e quindi sulla tutela della libertà privata, della piccola e media impresa, contro ogni forma di collettivismo politico, culturale ed economico e di conseguenza contro ogni forma di illegittimo monopolio.
Difatti, se una volta esisteva il collettivismo dei soviet come riferimento della sinistra e dello statalismo dittatoriale per quanto riguarda la destra, oggi esiste un comune collettivismo di cui entrambi gli schieramenti subiscono una certa sudditanza, mi riferisco alla Grande finanza. Nello specifico, la Grande finanza determina le politiche finanziare dei vari governi di qualsiasi colore politico, imponendo loro un monopolio. Il suddetto monopolio non è il risultato di un’innovazione industriale che determina una grande richiesta per la sua utilità, ma al contrario utilizza i diversi governi per condizionare le loro politiche economiche a vantaggio delle proprie speculazioni finanziarie. Senza entrare ulteriormente nel merito della succitata questione, urge evidenziare quanto solo una forza politica realmente liberale, ossia tesa a salvaguardare la libertà individuale del cittadino e quindi la sua libertà economica, da tutti i suddetti collettivismi, potrà consentire di condurre una lotta politica costruttiva e finalizzata al raggiungimento del concreto benessere degli italiani, anziché scadere in slogan che occultano solamente l’opportunismo politico e la sete di potere del singolo leader emergente del momento. Pertanto, ciascun vero e non sedicente liberale dovrebbe augurarsi che emerga, finalmente, un partito capace di interpretare e di declinare i principi del liberalismo in modo fattivo.
L’ipotetica presenza del suesposto partito, oltre a determinare la rinascita dell’Italia, salvandola da questo torpore e oscurantismo feudale, avvantaggerebbe anche quei partiti nazional-popolari che oggi fanno fatica a governare a causa dei radicalismi politici al loro interno, ancora ancorati alla cultura politica estremistica di origine. Al postutto, a conferma di quanto finora esposto, credo che non ci sia nulla di più efficace che riportare di seguito una celebre citazione dell’illuminante liberale, nonché uno degli ex segretari dello storico Pli, Giovanni Malagodi, il quale affermava testuali parole: “Vi sono delle situazioni nelle quali una minoranza veramente sicura in cuor suo del suo buon diritto finisce, combattendo, col turbare ed alla lunga col convertire anche la maggioranza”.
Fate vobis.
Aggiornato il 30 gennaio 2024 alle ore 15:09