Diritto di replica

Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica ha raccolto mille consensi e non poteva andare diversamente. Il contenuto è risultato equilibrato e condivisibile in vari punti come in tutti i discorsi precedenti, poiché ciò che esprimeva era la media delle opinioni più corrette sui vari temi e problemi dei nostri anni. Nel farlo, tuttavia, anche questa volta il discorso, in tema di diritti, si è perfettamente allineato a una tendenza che dal 1948 caratterizza l’Italia e la sua Costituzione. Infatti, nel testo di Sergio Mattarella il termine diritto compare nove volte mentre il dovere è citato una sola volta.

Nella nostra Carta, in effetti, i diritti appaiono 42 volte e i doveri solo 8. Del resto, la stessa Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 dedicava ovviamente ai diritti la posizione centrale, così questo termine ricorreva 62 volte mentre i doveri solo 2, uno in riferimento alle questioni giuridiche e l’altro per sottolineare come “ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità”.

Mattarella, da parte sua, nell’unica citazione della parola in questione, sostiene che “prima che un dovere, partecipare alla vita e alle scelte della comunità è un diritto di libertà”. Come se obbedire alle leggi, votare, pagare le imposte e mostrare solidarietà nei momenti difficili non fossero sufficienti a istituire un corretto rapporto con la comunità, insistendo invece sulla non meglio precisata partecipazione, vero strumento di aggregazione politica di sinistra che, dagli anni Settanta, ha in realtà soffocato la formazione di un’opinione pubblica aperta e liberale.

Curiosando, utilizzando una semplice content analysis, in altri documenti scopriamo che, per esempio, nello Statuto dei diritti e dei doveri degli studenti universitari”, promulgato nel 2007 dal Ministero per l’Università, i diritti sono citati 47 volte e i doveri solo 14. A questo documento fa seguito la “Carta dei diritti degli studenti” approvata dal Consiglio nazionale degli studenti universitari nel 2011, nella quale, a parte la sua presenza nel titolo, il termine diritti appare 57 volte nella totale assenza dei doveri. Inutile chiederci, poi, se nello Statuto dei lavoratori stabilito con la legge 300 del 1970 vi sia qualche riferimento ai doveri poiché, in 41 articoli, questo concetto non compare mai mentre i diritti vengono indicati 34 volte. E si potrebbe continuare.

L’onnipresenza dei diritti nella nostra pubblicistica, nelle prese di posizione politiche e in documenti di vario genere non è, naturalmente, qualcosa di intrinsecamente negativo. Ad esserlo, semmai, è l’evidente squilibrio rispetto ai doveri, che sembrano eclissarsi in una malintesa e miope visione della modernità e del giusnaturalismo. Infatti, si dà il caso che la proclamazione di qualsiasi diritto implichi che, da qualche parte, vi sia qualcuno che abbia o senta il dovere di rispettarlo e soddisfarlo. Ciò può avvenire solo in tre modi: l’avvento di uno Stato che provveda a tutto, il ricorso alla coscienza morale dell’individuo o un efficiente equilibrio fra i primi due modi. Quest’ultima modalità, d’altra parte, non può essere perseguita con l’eccessivo appesantimento, sulla bilancia del bene comune, di uno solo dei due termini. L’aveva capito e sottolineato Giuseppe Mazzini nel suo Dei doveri dell’uomo così come l’aveva capito un presidente come John Fitzgerald Kennedy nella famosa incitazione morale secondo la quale “non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Già, un presidente di famiglia ricca e sincero liberale. Due caratteristiche che, da noi, sono scelleratamente percepite come incompatibili o persino intollerabili.

Aggiornato il 03 gennaio 2024 alle ore 10:10