Le vere riforme istituzionali

Il vocabolario della Treccani definisce il termine riforma “la modificazione sostanziale, ma attuata con metodo non violento, di uno stato di cose, un’istituzione, un ordinamento, ecc., rispondente a varie necessità ma soprattutto a esigenze di rinnovamento e di adeguamento ai tempi”. Da decenni, è universalmente riconosciuta la vitale esigenza di riforme per rendere le nostre istituzioni, latu sensu, comparabili con le altre democrazie occidentali. Il bisogno di riformare l’architettura istituzionale è sempre stato considerato indispensabile sia quando ha governato il centrosinistra sia con gli Esecutivi di centrodestra.

Sono ormai reiterati i tentativi di riforme costituzionali, promosse da Esecutivi di ogni colore politico, che non hanno avuto successo. L’obiettivo è sempre stato quello di rendere governabile il Paese, con Governi politici stabili, espressione della volontà popolare, capaci di restare al timone per l’intera legislatura. In nessuna democrazia compiuta al mondo si sono formati Governi tecnici, come in Italia, sotto la regia dei Presidenti della Repubblica che si sono succeduti dal 1993 in poi, in spregio alla volontà popolare. È l’unica “democrazia” dove i Governi si sono formati con manovre di palazzo e hanno letteralmente ribaltato i risultati delle elezioni politiche. Dalla nascita della Repubblica ci sono stati 63 Governi, 31 presidenti del Consiglio dei ministri e la durata media degli Esecutivi è stata di 14 mesi circa.

La coalizione di centrodestra, nel suo programma di Governo che ha sottoposto prima delle Politiche del 25 settembre 2022, ha indicato tra le priorità della legislatura la riforma dell’architettura istituzionale e quella della giustizia. Un programma elettorale che è stato premiato dall’elettorato e che gli ha assegnato una larga maggioranza parlamentare. Una riforma che doveva prevedere l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e una riforma della giustizia che riequilibrasse il potere politico da quello dell’ordine giudiziario. Non mi sarei mai aspettato che Giorgia Meloni, dall’alto della sua esperienza politica e dalla coerenza del suo agire politico, si facesse imbrigliare dalle opposizioni parlamentari e dal sindacato della magistratura inquirente più politicizzata. Le minoranze della sinistra, dell’estrema sinistra e dai Cinque Stelle, sono politicamente divise su tutto ma sulle riforme agiscono all’unisono, per contrastare con ogni mezzo qualsiasi riforma che abbia lo scopo di rendere il nostro Paese una democrazia compiuta.

Chi vince le elezioni governa per l’intera legislatura. L’opposizione si prepara per avere la meglio nella successiva tornata elettorale e per cercare di realizzare l’alternanza politica alla guida del Paese. A qualsiasi riforma della giustizia si oppone il sindacato più politicizzato delle toghe, per non perdere quel potere di interposizione conquistato, anche per la debolezza della politica, con Tangentopoli. Eppure, le riforme sono indispensabili per l’interesse della Nazione. Sono funzionali a rendere stabile e governabile il Paese, a prescindere dal colore politico che ha l’onere e l’onore di guidare il Paese su mandato diretto del corpo elettorale.

Giorgia Meloni per cercare il più largo consenso in Parlamento ha optato, sbagliando, per l’elezione diretta del premier in luogo dell’elezione diretta del Capo dello Stato. Si è illusa di poter dialogare con una opposizione che è restia a qualsiasi riforma che modifichi lo status quo. La principale motivazione addotta dalle opposizioni per contrastare il ddl di riforma costituzionale, supportata dai costituzionalisti d’area, è che farebbe perdere poteri al Presidente della Repubblica, in quanto non eletto direttamente dal popolo sovrano, quindi più debole politicamente di un premier eletto con mandato popolare. In sostanza, secondo chi si oppone all’Esecutivo del centrodestra si dovrebbero fare riforme che non devono modificare nulla!

Aggiornato il 07 dicembre 2023 alle ore 10:06