Italiani sovrani: contro il veleno del massimalismo

Cosa serve all’Italia della crescita, per rigenerare i fattori d’edificazione di uno sviluppo misurabile, e non per conservare i rami secchi con pigre ristrutturazioni? Tagliare ogni lungaggine burocratica che puzzi di superfetazione, semplificare la vita degli attori produttivi. Liberalizzare i tanti servizi oppressi da interessi corporativi che precludono l’accesso al mercato concorrenziale: dei problemi inerenti ai taxi, alla mobilità pubblica nelle metropoli e degli automatismi sulle concessioni balneari è da tanto che se ne parla, inutilmente. E ancora: riformare la giustizia separando le carriere della magistratura per evitare ogni commistione tra funzione giudicante e funzione inquirente-requirente, anche attraverso un distinto nonché ben separato organo indipendente – a costo zero – che ne supervisioni le carriere. Perché non un ufficio nominato dal Presidente della Repubblica secondo criteri garanti di neutralità valutativa?

E poi i problemi economici delle persone in carne, ossa e spirito. Sì, lo spirito di civiltà da riscoprire, da incarnare come protagonisti nel nostro tempo presente, declinandoci sul futuro con l’orgoglio e la veemenza dell’impegno, per fare grande il nostro autorevole Stivale euro-mediterraneo. Genitori che investono sul futuro di figli scoraggiati alla sola idea di dover rimanere in Italia, tra precarietà e mediocrità reddituali dilaganti. Figli costretti al senso di colpa di dover parcheggiare i propri cari anziani in strutture periferiche meno costose e meno vicine ai propri posti di lavoro centrali. Vecchi giovani e giovani vecchi alla ricerca di un senso, di fronte e dentro a tutto questo caos, tra fragilità da comporre (sinergicamente) e non da contrappore (sterilmente). Inutili e anacronistiche, nonché improduttive, sono quelle logiche di guerriglia sociale fra categorie o fra posizioni lavorative, fra donne e uomini come categorie antitetiche e non come persone criminologicamente studiabili e trattabili, fra sacche di diverse povertà solo perché gli uni vestono elegantemente o stanno in uffici e gli altri in modo più pratico vivono gli ambienti a cielo aperto. Ancora oggi, malgrado sia superata l’era della lotta fra lavoratori privati e lavoratori pubblici o fra impresari e dipendenti, ci sono manierismi post-ideologici che nel proprio Dna conservano il sapore dell’ideologia. Il sapore aspro della reazione, con le sue piazze dove s’inneggia alla contrapposizione e allo scontro fra visioni del mondo, fa male agli italiani.

L’Italia merita lo sviluppo delle infrastrutture, materiali e immateriali, spronando i migliori meccanismi gestionali d’investimento. Stimolando il futuro in un’ottica aperta al divenire delle transizioni, con nuovi meccanismi d’irrobustimento delle produttività industriali. Le questioni culturali non sono ingabbiabili né incasellabili entro angusti spazi retorici o categorici, dove è più semplice urlare slogan che condurre ragionamenti d’investimento sulle dinamiche di crescita. Se sono femminista paritarista, in questa post-contemporaneità, metto in dubbio la gestione attuale degli spazi di conciliazione vita privata-vita professionale delle famiglie, per donne e uomini volenterosi di mettere in discussione l’esistente attraverso nuovi investimenti infrastrutturali illuminati dal rispetto del tempo esistenziale di tutti. Il rispetto del libero tempo autodeterminabile nell’esistenza di ciascuna e di ciascuno è il prezioso atrio di ogni matura, effettiva, parità di genere.

Non diteci che non vi abbiamo visto arrivare. Perché vi abbiamo visto, e non ci avete ascoltato mentre vi dicevamo che la clava massimalista non è molto diversa dai populismi degli scorsi anni. Vi abbiamo anche ascoltato: e da liberali, cittadini amanti del sacro dubbio razionale, siamo stati contenti che foste arrivati e che poteste avere una parola libera di speranza, nelle pluralità delle anime politiche. Ma l’opposizione non è vaga nebulosità identitaria. L’opposizione ha un peso, e ogni peso reca con sé la responsabilità di un programma, di un sistema possibile di ragionevolezze da mettere al servizio della nostra nazione ital-europea, della nostra patria culturale nonché manifatturiera, potenzialmente pioniera (degli Stati Uniti d’Europa) di fronte (e dentro) al mondo intero. La tavola della democrazia liberale necessita di cibi tradizionali con sempre nuovi ingredienti, al passo coi tempi. Ci teniamo pronti a servire il menù del torto, che farà bene all’Italia, perché la farà crescere. Non siamo però pronti a veder scivolare il veleno massimalista nello stomaco delle laboriose aspettative del popolo italiano e sovrano.

Aggiornato il 29 novembre 2023 alle ore 10:30