Amianto: il diritto alla salute violato dallo Stato

Fra tutte le costituzioni europee la nostra Carta costituzionale è stata la prima a riconoscere e a tutelare il “diritto alla salute”, declinato come valore costituzionale primario, tanto nella sua accezione di tutela della persona quanto di diritto di interesse sociale e della collettività. Invero, al primo comma dell’articolo 32 della Costituzione italiana si afferma che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Da quanto si evince dal suddetto articolo la Costituzione considera la salute come diritto fondamentale, ossia la considera espressamente l’unico diritto fondamentale e non solo inviolabile come avviene per altri diritti costituzionali. Questo principio è stato ribadito dalla costante giurisprudenza, la quale ha definito la salute come “diritto primario e fondamentale”.

Per un costante e prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinario, il diritto alla salute deve comprendere anche il diritto ad un ambiente salubre, per cui l’ambiente deve essere tutelato e rispettato da tutti i soggetti pubblici che esercitano le loro funzioni sul territorio nazionale, comprese le regioni, le quali godono di una potestà legislativa inerente al settore della salute. Pertanto, la nostra Costituzione, al contrario di quella precedente, ossia lo Statuto Albertino, qualifica la salute sia come diritto fondamentale dell’individuo (dimensione individuale) sia come interesse primario della collettività (dimensione sociale).

La salute, nella sua accezione di diritto fondamentale alla tutela del benessere fisico, mentale e sociale dell’individuo si sviluppa in due significati, uno pretensivo e l’altro oppositivo. Con il primo aspetto viene in rilievo il diritto ad ottenere cura e assistenza con il diritto ai trattamenti sanitari gratuiti. Dal secondo aspetto si evince un principio fondamentale, ovvero il diritto erga omnes all’integrità fisica in tutte le attività in cui si realizza la personalità dell’individuo, considerandolo come diritto primario assoluto che può determinare anche l’obbligo di risarcimento qualora esso venga violato, principio giurisprudenziale riassunto nella fattispecie giuridica del danno biologico.

L’integrità della persona è un bene primario, il quale deve essere necessariamente tutelato giuridicamente, sia quando la menomazione abbia compromesso, totalmente o parzialmente, temporalmente o in modo definitivo, le capacità dell’individuo di attendere alle sue ordinarie occupazioni produttive, sia in tutte quelle ipotesi in cui la menomazione abbia cagionato un depauperamento del valore biologico della persona. Perciò, bisogna enunciare il postulato secondo il quale all’individuo deve essere riconosciuto un valore patrimoniale a prescindere dallo svolgimento di un’attività lavorativa o economica.Il danno alla salute è quel quid che compromette l’integrità fisica e psichica della persona, rappresentando un danno giuridicamente sanzionato, quando è la conseguenza causale di una condotta colposa o dolosa imputabile a terzi.

I riferimenti normativi del nostro ordinamento giuridico sono il suddetto articolo 32 della Costituzione in primis e poi gli articoli 2043 e 2059 del Codice civile, gli articoli 581, 582, 590 del Codice penale, le norme della L. 300/70 che tutelano il lavoratore e la L. 833/78, che ha istituito il Servizio sanitario nazionale. La giurisprudenza della Corte costituzionale riconduce il danno alla salute nell’ambito dei danni non patrimoniali, risarcibili solo ai sensi dell’articolo 2059 del Codice civile. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno palesemente affermato che in tema di danno alla persona, il riconoscimento del carattere omnicomprensivo del risarcimento del danno non patrimoniale non può andare a scapito del principio della integrità del risarcimento medesimo.

Quindi, il compito del giudice è quello di accertare quale effettivo pregiudizio abbia recato alla persona e se tale pregiudizio rientri nelle fattispecie di danno biologico, ossia di danno alla salute psicofisica, danno morale, ovvero di sofferenza interiore, nonché di danno esistenziale, ossia di peggioramento delle condizioni di vita quotidiana. Pertanto, le espressioni di danno biologico, danno morale, danno esistenziale rappresentano delle definizioni di quella categoria di danno riassumibile nel danno non patrimoniale, che è quel danno che determina la lesione di interessi della persona non suscettibili di rilevanza economica. Da quanto finora esposto emerge quanto il nostro diritto evidenzi una elevata sensibilità giuridica e sociale nella tutela del diritto alla salute come diritto fondamentale per il rispetto della dignità umana.

Enucleata la succitata premessa, bisogna constatare ai fatti la contraddittorietà dello Stato italiano che, se da un lato si preoccupa di normare principi fondamentali a tutela della salute, dall’altro pecca di indifferenza se non di vera e propria responsabilità civile e penale nella lesione del diritto alla salute riguardo ai propri cittadini. Nella specie, mi riferisco al gravoso e pernicioso problema dell’amianto, la cui presenza sul territorio nazionale è assai più estesa di quello che si possa immaginare.

L’amianto è l’elemento più democratico della nostra società, in quanto colpisce tutti i ceti sociali ed economici, determinando una devastante patologia definita scientificamente “mesotelioma”. Il mesotelioma è uno dei pochi tumori in cui si ha una sostanziale certezza eziopatogenetica, ossia che la causa di insorgenza di questa neoplasia è attribuibile pressoché interamente all’esposizione a fibre di amianto. Da molti casi giudiziari si evince che lo Stato italiano, nello specifico il Ministero della Difesa ha indotto i propri militari all’esposizione a polveri e fibre di amianto ed altri agenti cancerogeni e patogeni, senza informare del rischio morbigeno ed in assoluta assenza di adeguati ed efficaci strumenti di prevenzione tecnica e di protezione individuale, che potessero impedire l’inalazione di polveri e fibre di amianto ed altri agenti patogeni.

Per verità storica, le capacità lesive dell’amianto per la salute umana sono note fin dall’inizio del Novecento, tant’è che le lavorazioni dell’amianto erano state dichiarate insalubri con Regio Decreto n. 442/1909 e con le norme del Decreto del Presidente della Repubblica n. 303/1956 e con le norme del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547/1955. La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 2251, depositata il 16 febbraio 2012, ha confermato che il rischio morbigeno legato all’esposizione ad amianto era certamente noto fin dall’inizio del secolo scorso.

A conferma di quanto finora esposto, in Italia per arginare il dilagare dell’epidemia di patologie asbesto correlate (amianto) alla fine degli anni Trenta e inizio anni Quaranta, fu approvata la legge n. 455/1943, con cui l’asbestosi fu tabellata e di conseguenza indennizzata. Inseguito, ovviamente fu legiferato l’articolo 2087 del Codice civile come norma cautelare a presidio e salvaguardia della tutela e della salute dei lavoratori.

Le responsabilità giuridiche dello Stato italiano si evincono anche dall’accertamento della Commissione parlamentare della Camera dei deputati sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano in missioni militari all’estero e altrove. Una delle testimonianze più sconcertanti è rappresentata da una lettera della società AgustaWestland indirizzata al segretario generale della Difesa, emersa durante le indagini della Procura della Repubblica di Padova relative all’esposizione all’amianto dei militari, in cui si sostiene che per gli elicotteri inquinati, principalmente nella zona vano freno motore era stato proposto un programma di bonifica, effettuato da una ditta qualificata, il cui onere economico sarebbe stato diviso pariteticamente tra la ditta e la pubblica amministrazione, dimostrando così che in questa circostanza il Ministero della Difesa era a conoscenza dal 1996 della presenza di amianto all’interno dei mezzi dell’esercito e che nonostante ciò non aveva mai provveduto alla sua rimozione, quindi a distanza di quattro anni dall’entrata in vigore della legge del 1992 che vietava l’utilizzo dell’amianto. Il Ministero della Difesa (lo Stato italiano), essendo a conoscenza del pericolo avrebbe dovuto dotare i militari degli strumenti tecnici idonei ad evitare l’inalazione di amianto, ma da alcune testimonianze di soldati era emerso che i loro vestiti erano semplicemente in tela e non garantivano alcuna prevenzione dal contatto con l’amianto.

In conclusione, lo Stato che commemora giustamente le vittime delle guerre come, ad esempio i militari rimasti uccisi nell’attentato di Nassiriya, è lo stesso che ha determinato colposamente la contaminazione di amianto di diversi militari e la conseguente morte di molti di loro per mesotelioma, anche dopo l’entrata in vigore della legge del 1992, in cui si vietava il suo utilizzo.

Aggiornato il 24 novembre 2023 alle ore 10:59