Un colpo al cerchio e l’altro pure

La storia non si fa con i se, ma immaginare cosa sarebbe accaduto in condizioni diverse da quelle che hanno caratterizzato un evento storico, o anche di semplice cronaca, è comunque un buon esercizio razionale. La vicenda bellica che coinvolge Israele e Hamas presenta, peraltro, una prima fase che non ha bisogno di simulazioni. In effetti, a seguito della strage del 7 ottobre, non risulta esservi stata alcuna manifestazione pubblica di protesta contro il terrorismo e, altrettanto, i 143 accademici di Bologna che, invece, hanno firmato in questi giorni un manifesto di solidarietà con Gaza, erano probabilmente distratti o impegnati in pacifici sonni. Lo stesso si può dire per le migliaia di giovani e meno giovani che, da giorni, stanno riempiendo le piazze in Italia e nell’intera Europa. Una prima conclusione è dunque ineccepibilmente questa: se, dal 7 ottobre a oggi, nel Medio Oriente l’unico evento rilevante fosse stato il brutale assalto di Hamas nel territorio israeliano, se cioè Israele non avesse avviato la propria risposta militare, allora le piazze sarebbero vuote, le università non sarebbero occupate e i 143 – tra docenti e ricercatori – sarebbero indaffarati in altro.

Ma la risposta militare di Israele c’è ovviamente stata e solo questo fatto, a differenza della strage di ottobre, è stato assunto come motivazione per la protesta. Apparentemente non sembra facile capire come funzioni il cervello di chi, silenzioso davanti alle vittime del 7 ottobre, prende a urlare di fronte a quelle generate dai bombardamenti israeliani. A sollevare quesiti e stupore non è l’opinione contraria alle azioni dei militari di Israele o ai loro eventuali eccessi, bensì il silenzio precedente. Anche se la questione non è psichiatrica in senso stretto ne ha però alcuni tratti tipici, in particolare la capacità di un soggetto di rimuovere dalla coscienza l’effetto negativo provocato dall’aver assistito, senza il coraggio di reagire, a una vicenda palesemente criminale e di dirottare l’intera carica di collera verso un altro obiettivo. In altre parole, è sicuro che la strage attuata da Hamas ha colpito duramente l’animo anche del più convinto difensore degli interessi palestinesi e del più accanito avversario di Israele, ma professare scandalo, dolore e rabbia significherebbe riconoscere apertamente non solo il torto del terrorismo ma anche la propria dogmatica partigianeria.

Da qui la rimozione psicologica e l’attesa spasmodica di un obiettivo sul quale riversare la collera e l’odio che il primo episodio ha generato provocando un insopportabile senso di colpa. Ovviamente, il tutto viene poi condito dai consueti ritualismi fatti di stereotipi ideologici, nel senso peggiore del termine, e dei gesti simbolici che hanno contraddistinto in tutto l’arco del secolo scorso, e ancora oggi, manifestazioni di questo tipo, affette da strabismo volontario e ignoranza collettiva. Ma che a questa squallida esibizione di faziosità ottusa e a senso unico stia partecipando anche un nutrito gruppo di docenti, la dice lunga sulla china decadente lungo la quale sta scivolando la cultura italiana.

Aggiornato il 10 novembre 2023 alle ore 13:52