La Regione Lazio – guidata dal presidente Francesco Rocca – ha sottoscritto un significativo protocollo di cooperazione con il presidente della Regione del Tigray, Getachew Reda. La notizia, passata sui media come un avvio di contatti con una regione (o provincia) dell’Etiopia, è tuttavia di notevole importanza politica, perché il Tigray non è una regione come le altre e l’etnia tigrina ha caratteristiche socio-politiche peculiari. L’etnia tigrina, storicamente, sociologicamente dominante e strutturata attorno al Tplf, Fronte popolare di liberazione del Tigray, ha guidato l’Etiopia dal 1991 al 2019. Dal novembre 2020 l’esercito di Addis Abeba ha innescato una guerra civile contro la Regione del Tigray considerata ribelle, mortificandola con stragi, devastazioni, stupri sistematici, affamando una popolazione che è stata costretta ad esodi drammatici. Il capo del Governo dell’Etiopia, Abiy Ahmed, nel 2019, per avere firmato il trattato di pace con l’Eritrea – a seguito della guerra durata dal 1998 e il 2000 e che aveva prodotto quasi centomila morti – è stato insignito del premio Nobel per la Pace. Tuttavia, l’idillio con il concetto di “pace” – professato con l’applicazione di una democrazia piena in uno Stato di diritto, con l’aver concesso l’amnistia a migliaia di prigionieri politici, aver abolito lo stato di emergenza, aver aperto alla libertà di “stampa”, aver interdetto ogni tipo di censura e sanificato la dilagante corruzione, e soprattutto aver dato spazio alle donne – si è spento con la drammatica guerra tra Addis Abeba e Macallè.
Ma in questa guerra civile tra le vittime più significative si annoverano la verità e la giustizia, come è di consuetudine. L’Unione africana ha stimato circa seicentomila morti solo nel Tigray, dove notoriamente sono stati commessi “crimini contro l’Umanità”. Tuttavia, il mese scorso non è stato rinnovato il mandato all’Ichree, Commissione internazionale di esperti sui diritti umani in Etiopia, organismo istituito nel 2021 e incaricato di indagare sui crimini commessi durante il conflitto nel Tigray tra novembre 2020 e novembre 2022. Quindi, a oggi, non è previsto alcun monitoraggio internazionale su questi crimini, sotterrando il meccanismo di analisi internazionale che avrebbe svelato quanto accaduto nella regione del Tigray. Ma chi trae profitto dalla “inumazione” di questa indagine? Senza dubbio il capo del Governo etiope, Abiy Ahmed, notoriamente contrario a qualsiasi inchiesta delle Nazioni Unite in questo ambito, ne esce vincente. Infatti, se l’indagine fosse stata prorogata Ahmed sarebbe stato, molto probabilmente, esposto a procedimenti giudiziari internazionali, mentre la sua immagine di premio Nobel per la Pace, già inesorabilmente sinistrata, sarebbe definitivamente crollata. L’ultimo rapporto di settembre dell’Ichree è stato esplicito: assedio imposto al Tigray, torture, stupri sistematici, omicidi, identificazione etnica, obbligo di esodi di massa. Insomma, un quadro agghiacciante dei crimini di guerra perpetrati nella regione del Tigray, ma anche in quelle limitrofe di Afar e Amhara. L’artefice di queste efferatezze è l’esercito etiope, insieme alle milizie eritree e alle truppe di Amhara, ma accuse di omicidi e stupri sono addebitate anche agli insorti del Fronte popolare di liberazione del Tigray. Per contro, il Governo etiope ha dichiarato questi rapporti basati su questioni politiche. Abiy Ahmed, forte anche della sua autorità di premio Nobel per la Pace, ha operato diplomaticamente in modo intenso per impedire il rinnovo della commissione d’inchiesta, rifiutandosi di permettere ai delegati delle Nazioni Unite di recarsi nelle aree sotto indagine. Già a giugno, Addis Abeba era riuscita a disinnescare l’inchiesta dall’Unione africana sul Tigray e a istituire un proprio meccanismo nazionale di “giustizia transitoria”. Tuttavia, la cosa certa è che questi “esperti umanitari” etiopi, controllati dal Ministero della Giustizia, gestiscono l’operazione nell’oscurità più assoluta. È molto probabile che la scelta dell’Unione europea di porsi costruttivamente, e dell’Onu di interrompere l’indagine, non sia per favorire l’impunità, ma per impedire una ulteriore destabilizzazione, come sta accadendo nel confinante Sudan. Tuttora l’area è immersa nell’instabilità. Omicidi di funzionari governativi, e una rivolta delle milizie nazionaliste, hanno spinto Abiy Ahmed, ad agosto, a dichiarare la legge marziale e a inviare l’esercito nella regione di Amhara. Ma anche nel Tigray, tra sparatorie, esecuzioni arbitrarie, utilizzo di droni, la repressione è feroce e l’esercito etiope ha un controllo blando sul territorio.
A ottobre la Commissaria europea ha firmato con l’Etiopia un programma pluriennale di cooperazione del valore di 650 milioni di euro per il periodo 2024-2027. L’obiettivo è di normalizzare le relazioni. Inoltre, gli Stati Uniti sostengono il meccanismo di “giustizia transitoria” dell’Etiopia e anche l’Unione europea, nonostante notevoli dissensi interni, si è allineata a sostegno del programma di Addis Abeba. Quindi, la scelta del presidente della Regione Lazio è molto di più di un formale accordo di cooperazione con una “bisognosa” regione etiope; è senza dubbio aprire un varco nella opaca cortina che avvolge, al momento, la strategica regione del Tigray e soprattutto sui suoi rappresentanti della etnia tigrina. Ma, chiaramente, questa scelta di cooperazione tra le due Regioni – Lazio e Tigray – si colloca in un contesto molto più ampio di equilibri di politica internazionale. Un quadro decisamente delicato e notevolmente articolato. Comunque, in Etiopia, dalla caduta dell’imperatore Hailé Selassié avvenuta nel 1974, i successivi cambiamenti di regime, spesso violenti, non sono stati mai soggetti a indagini di giustizia riparativa.
Aggiornato il 09 novembre 2023 alle ore 10:54