L’assenza di un vero potere che ami l’Italia e gli italiani

Il problema dell’Italia è tutto nella mancanza di potere. Nell’assenza di italiani nei conciliaboli di potere. Per dirla in soldoni, manca l’uomo potente che ci vuole bene. Questo aspetto rende una nazione di servi ancora più prostrata a cospetto dei poteri internazionali. Ma il potere non ha fortunatamente vita sempiterna. Chiunque s’approcci alla vita pubblica occorre tenga sempre bene a mente i moniti di Percy Shelley immortalati in Ozymandias, ovvero che è inevitabile il declino degli uomini di potere e dei loro imperi, per quanto grandi e potenti potessero essere stati.

Probabilmente un vuoto causato dall’abuso di potere di cui, per dirla alla Shelley, “nulla accanto rimane”: il poeta inglese porta come esempio le opere del faraone Ramesse che, per quanto grandi siano state, sono lentamente cancellate dal tempo. È svanito nel nulla il suo impero, solo sabbia, un monito al potere che c’è e che verrà.

In molti s’aspettavano miracoli da Giorgia Meloni, ma vale la pena ricordare che la premier non è mai stata espressione del potere: probabilmente ha tentato di entrare nei conciliaboli, e anche con le migliori intenzioni.

Quel che rimane del potere italiano è ben visibile nei programmi delle reti “istituzionali” (Rai, Mediaset e La7), ovvero interviste ad Elsa Fornero, tentativi abortiti di narrare del patrimonio degli Agnelli, giornalisti che dispensano odi di Mario Draghi, Mario Monti, magistrati e banchieri.

Non c’è nelle tivù “istituzionali” nemmeno una voce che tenti di accreditare come potere l’attuale Esecutivo. Invece si continua a manifestare rispetto al capezzale di un potere moribondo, in stato comatoso o, paradossalmente, estintosi nel passato decennio. Va detto che dei nuovi desiderosi di farsi potere nessuno ha ancora dimostrato di sapersi fare largo nel “salotto internazionale” a spallate: cosa che fecero Silvio Berlusconi, Bettino Craxi, Raul Gardini, Adriano Olivetti, Giulio Andreotti ed Enrico Mattei.

Gli Agnelli sono paragonabili ad una dinastia di faraoni, se proprio dobbiamo guardare ad un potere che ci ha condizionati portando lunghi strascichi sino al nostro tempo: hanno governato la Grande Guerra, il Fascismo, la Prima e la Seconda Repubblica. E ora potenti studi legali mettono al sicuro i loro averi lontano dall’Italia.

Il Governo Monti ha, come altri Esecutivi, rappresentato gli Agnelli in politica: e questo faceva molto arrabbiare Berlusconi. E la politica della Fiat continua ad influenzare le vicende italiane, per certi versi non permettendo a magistrati e gente normale di sapere che fine abbiano fatto i patrimoni vincolati dallo Stato italiano (opere sparite dall’inventario delle Fondazioni), per altri permettendo a certi professori di continuare a pontificare a reti unificate su che lavoro devono fare gli italiani e se è giusto pagare stipendi, salari e pensioni. Soprattutto gli emuli di Gianni Agnelli e del metodo Fiat vengono presi come esempio di correttezza da Partito democratico e Cgil, dimenticando quanti soprusi sono stati consumati sulla pelle degli operai. Qualcuno s’azzarda pure a dire che la strategia Fiat è sempre stata di sinistra: parole certamente dettate da esigenze di piaggeria verso la famiglia Agnelli-Elkann.

L’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia ha pure detto in pieno 2023: “L’avvocato Giovanni Agnelli aveva una forte consapevolezza della necessità di salvaguardare il patrimonio che rappresentava la Fiat e aveva un autentico senso di apertura e della responsabilità sociale dell’impresa”. E le opere fatte sparire? E i fondi neri? Ancora oggi nessuno osa domandarsi perché sia giusto salvaguardare il patrimonio degli Agnelli in un momento che vede in pericolo le case ed i terreni di operai e contadini. La gente vuole solo lavorare e guadagnare, ma il sistema non fa altro che mettere trappole nella vita quotidiana di operai, contadini, artigiani, liberi professionisti. Trappole fiscali, valanghe di norme Ue, trappole previdenziali, amministrative, bancarie spacciate... così la dannazione viene somministrata a chi vuole lavorare. Salvo poi scoprire che, dopo aver fondato con Aurelio Peccei il Club Roma, sono proprio gli Agnelli ad aver sponsorizzato il Forum economico mondiale di Davos, dove si è parlato di lavoro come fattore d’inquinamento.

Ecco che l’attuale maggioranza di governo non sa che pesci prendere, perché poco adusa al dialogo col potere: il centrodestra è stato votato perché togliesse paletti al lavoro, ma da Bruxelles (sotto influenza di Davos) dicono all’Esecutivo di continuare con le politiche inaugurate da Monti. Senza lavoro e senza sussidi, il popolo esplode. Chi vi scrive non ha mai creduto nel reddito di cittadinanza, confidando che prima o poi qualche capopopolo avrebbe reintrodotto d’imperio la cultura del lavoro. Purtroppo alla gente normale la vita non sorride, e il futuro italiano parla di taglio sia ai sussidi che alle opportunità di lavoro: ma la colpa non è del Governo, bensì dei limiti imposti dai tantissimi vincoli europei, italiani e locali. L’ultima ministra del Lavoro gradita agli Agnelli, Elsa Fornero, ha detto che “in Italia con un reddito base la gente si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro”. Suoi colleghi in quel nefando governo di tredici anni fa sostenevano che per addrizzare gli italiani era necessario togliere loro lavoro, casa e risparmi. E la litania continua sottotraccia a reti unificate, complici famosi giornalisti e professori.

Nessun potere italiano all’orizzonte, nessuno che ci ama. L’assenza di politica partecipata, di corpi intermedi, di classe media interclassista e rivoluzionaria rende timida e risibili tutte le proposte. Perché queste ultime, per quanto buone, devono poggiare su solide gambe di potere.

Aggiornato il 08 novembre 2023 alle ore 14:06