Con la Comunità ebraica: contro Hamas, per Israele
Per un annetto, tra il 2021 e il 2022, ho abitato a Piazza Santa Maria Liberatrice, accanto a Piazza Testaccio, vicinissimo al Lungotevere Aventino, e la mattina spesso mi recavo nel quartiere ebraico, al Portico d’Ottavia, per gustare la mia colazione prima d’iniziare le mie attività. Ho sempre sentito dentro di me una forte attrazione per la cultura ebraica, per la stella di Davide, per quei posti giudaico-romani: al fascino come al cuor non si comanda, ed io il fascino che sortisco sulla lucida pelle dei miei occhi non l’ho mai nascosto. Da leone o da farfalla, vivo, ma mai come i dolci fenicotteri, che nascondono le proprie teste in apnea. Come il leone azzanno l’ignavia, come la farfalla mi libero dalle negatività, in alto, liberato dalle crisalidi incrostate di chi non osa uscir fuori dalle gabbie. Il fascino per la Comunità ebraica di Roma voglio imprimerlo nero su bianco, voglio imprimerlo nei pixel delle foto. Voglio contribuire nel mio piccolo a tramandarlo, questo fascino, affinché la storia – proficua e tragica, sicuramente coraggiosa – del grande Popolo ebraico, che è parte integrante del nostro Popolo italiano nonché di altri Popoli, resti sempre libera e fluente sulla cresta soleggiata (mai insabbiabile) della memoria, in ogni stagione. Negli inverni come nelle primavere delle nostre storicizzabili civiltà, umane ma non sempre umaniste. I camion dei nazisti, con tutto l’oscurantismo violento, insensato e irrazionale dell’ideologia di cui portavano i simboli rubati all’antica romanità, e con cui il regime fascista si è alleato in un connubio ideologico malato e malefico di nazifascismo, sono i camion che le sorelle e i fratelli ebrei romani sentirono arrivare prepotentemente nelle loro vite, 80 anni fa. La Comunità ebraica di Roma e la Fondazione Museo della Shoah ricordano sempre quel periodo storico, affinché non ci si dimentichi mai, e credo anche affinché i nuovi vecchi orrori perpetrati da Hamas in danno d’Israele non passino mai in sordina, tra le fuggevolezze dei nostri media. Sui canali social della Comunità, Giancarlo Di Castro, guida volontaria della Fondazione Museo della Shoah, racconta che la mattina del 16 ottobre 1943, un quarto d’ora dopo le 5, i camion dei nazisti arrivarono nella piazza antistante il Portico d’Ottavia. Dopo che erano stati già chiesti (quindici giorni prima) cinquanta chili di oro per non deportare gli ebrei romani, la razzia iniziò ugualmente. Quando i nazisti in quell’indelebile 16 ottobre ’43 si presentarono nelle case degli ebrei, consegnarono un foglietto in cui era scritto di portare con sé un bicchiere e le medicine: lo chiesero a persone già pesantemente provate perché perseguitate in quel periodo, lo chiesero anche alle persone ammalate, che sarebbero state curate nei campi dove sarebbero state trasferite, in un’ignominiosa scusa a pretesto. L’opera ignobile di razzia terminò alle 14 della stessa giornata e i camion si spostarono in tutta Roma, non solo al Portico d’Ottavia. Tornarono indietro soltanto 16 persone, di cui soltanto una donna e nessun bambino. Ricordiamo infatti che il regime nazista non ha risparmiato donne e bambini. Durante il Grande Olocausto furono anzi uccisi più di un milione e mezzo di bambini.
Giancarlo Di Castro evidenzia che “gli eventi del 16 ottobre 1943 sono un cono d’ombra nella storia già travagliata degli ebrei d’Europa e devono rimanere impressi nella memoria collettiva”. E invita tutti a “mai dimenticare”. E noi non dimenticheremo. Tra l’altro, consiglio a tutti di porre i propri occhi, la propria mente e il proprio patrio cuor cittadino sui video che la Comunità ebraica di Roma sta diffondendo attraverso i propri canali cibernetici e social, per non dimenticare: video in cui alcuni bambini ebrei romani raccontano le storie dei propri cari. Nathan illustra la storia di suo nonno che, allora bambino, durante la persecuzione si nascose nelle fogne romane. Giulia parla di Enzo e Luciano Camerino, della zona Prati della Capitale, dato che le deportazioni degli ebrei romani avvennero in tutta la Città eterna e non soltanto nel cosiddetto quartiere ebraico. Joseph ricorda la storia di suo nonno Emanuele Di Porto, tra Piazza Mattei, via della Reginella e un vecchio tram. A braccia civiche aperte sul cuore ferito della Comunità ebraica mondiale, il non dismettere gli strumenti della memoria ci aiuta a saggiare bene e meglio la delicatezza degli equilibri storici, e con essi l’urgenza di dire basta – con coraggio! – a tutti i fondamentalismi che scorrono nelle subculture ideologiche di chi sbandiera atteggiamenti antisionisti, in questi giorni, o di chi strizza l’occhio ad alcune manifestazioni indemocraticamente anti-occidentaliste, illiberali e illibertarie. In questi giorni di dolori, per i popoli coinvolti nei conflitti in Medio Oriente, giunga un pensiero di speranza, ma anche una presa di coscienza sulle realtà tragiche che purtroppo tradiscono le speranze di una pace immediata.
Nello scontro tra il terrorismo fondamentalista anti-occidentalista di una sempre più potente Hamas, da un lato, e le ragioni di Israele, dall’altro, le voci libere e liberali di ogni parte del mondo non possono non schierarsi contro Hamas, decisamente. Si farebbe altrimenti un torto all’urgenza di proteggere il modello di vita che nella nostra fetta d’Occidente accompagna le nostre liberal-democrazie costituzionali, imperfette ma preziose: queste, senza dubbio e al netto di utopie e revisionismi storici, rappresentano ancora l’unica via sperimentata per una dignitosa vivibilità delle società globalizzate. La Comunità ebraica di Roma il 16 ottobre ha organizzato la Marcia della Memoria, da Piazza del Campidoglio al Portico d’Ottavia, per ricordare l’orrore del rastrellamento di 80 anni prima, in cui furono deportati più di milleduecento ebrei romani nel campo di sterminio di Auschwitz, con soltanto sedici sopravvissuti, come anzidetto. I colleghi de Il Foglio – con l’adesione della stessa Comunità ebraica romana – hanno organizzato una fiaccolata a sostegno di Israele il 10 ottobre, davanti all’Arco di Tito, accanto al Colosseo. Le due manifestazioni sono diverse, distinte e separate, ma hanno di fronte agli occhi di chi le ha organizzate e di chi vi ha aderito un filo conduttore di sensibilità di giustizia interna e internazionale, di tipo liberale e libertario (in senso ampio e letterale dei termini). Si tratta infatti di giustizia storica e di giustizia di fronte alle pagine di storia che stiamo scrivendo in questi giorni, in cui ci giungono immagini tragiche dai media, in cui la furia di Hamas ha voluto colpire Israele per innescare meccanismi perversi di lotta al mondo libero e liberale, alla nostra civiltà, al nostro Occidente imperfetto ma sempre politicamente migliore delle specifiche aree mediorientali dove i terrorismi nazi-islamisti si confondono con il potere ufficioso, o con alcuni corpi intermedi locali. Il 16 ottobre sui suoi canali social il Presidente del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), Renato Brunetta, acclarato studioso nonché docente universitario della scuola del cosiddetto socialismo liberale – o liberalismo sociale, se si preferisce a seconda degli angoli prospettici – ha scritto quanto segue, riferendosi all’ottantesimo anniversario del rastrellamento: “Un anniversario che oggi è particolarmente doloroso, perché risuona con quanto sta subendo ormai da giorni la popolazione israeliana. Bambini decapitati, corpi carbonizzati, famiglie trucidate: orrori paragonabili a quelli perpetrati ottant’anni fa dal regime nazista ai danni della comunità ebraica. Oggi come ieri, solidarietà al popolo israeliano e ferma condanna di ogni azione di odio e di violenza”.
Questo 10 ottobre ero accanto al Colosseo, vicino all’Arco trionfale di Tito per auspicare il capovolgimento delle sacche di tragedia, per auspicare una pace che passi per l’estirpazione delle minacce di Hamas e di Hamas stessa, per auspicare la fine dei regimi illiberali che ad Hamas prestano armi e fiato esistenziale. Mi riferisco all’Iran, in cui il regime nazi-islamista pur contrapponendosi ai talebani afghani, non è meno talebanocratico nei modi e nei metodi quanto a violazione dei diritti umani. Le armi della Russia, per esempio, passano all’Iran e dall’Iran ai potentati terroristici di Hamas. Il 10 ottobre ho stretto al petto e al cuore la bandiera con la stella di Davide, per il trionfo della democrazia liberale, per la vita dello Stato di diritto e con esso per la vita dei doveri e dei diritti di tutti, affinché nessun bambino israeliano o palestinese viva più in un mondo fatto di ricatti. Ho stretto al petto e al cuore la bandiera di Israele per schierarmi con la legalità internazionale, per il costituzionalismo delle libertà conquistate a dura lotta nella storia, e per quelle da migliorare e da conquistare ancora, instancabilmente, nell’equilibrio dei pesi e contrappesi socio-istituzionali. Quelle libertà che noi italiani conosciamo bene: azzurre come il cielo, azzurre come la nostra nazionale di calcio, azzurre come l’azzurro intenso della stella di Davide e delle strisce della bandiera d’Israele, sul bianco; azzurro intenso come l’azzurro che accompagna il giallo vivo della bandiera ucraina. Contro ogni forma di orrore predatorio, la memoria coltiva consapevolezze, il coraggio tesse battaglie: nella solidarietà. L’obiettivo è la pace, una pace liberale in cui le conquiste libertarie faticate nei millenni non vengano calpestate, né lapidate. E noi non dimenticheremo, né arretreremo; mai.
Aggiornato il 18 ottobre 2023 alle ore 09:49