Unione europea: una mera espressione geografica

Per quanto Giorgia Meloni si sia spesa per cercare di raggiungere un accettabile accordo con l’attuale governance dell’Unione europea, finalizzato a un’equa ripartizione dei migranti irregolari che sbarcano sulle nostre coste, i risultati non sono quelli sperati. La presidente del Consiglio deve, purtroppo, prendere atto che l’Unione europea è ormai una mera espressione geografica. Ogni Paese membro, nessuno escluso, bada ai propri interessi particolari. Il comportamento concreto non è dissimile da quello adottato, sul tema dei migranti, dal cosiddetto Gruppo di Visegrád. La differenza tra la politica migratoria del premier ungherese Viktor Orbán o del presidente polacco Andrzej Duda e quella dei sinceri democratici tedeschi, francesi è nell’ipocrisia di coloro che si dichiarano solidali con l’Italia mentre attuano politiche di chiusura ermetica delle loro frontiere.

Alle dichiarazioni di “solidarietà” fa seguito un comportamento nei fatti che non differisce dagli “ultra populisti” Orbán e Duda. Diciamolo chiaramente: l’attuale Unione europea è lontana anni luce dai valori che ispirarono la nascita della Comunità economica europea con il Trattato di Roma del 1957. Mercato comune, che attraverso il sistema di libero scambio di merci e dei fattori produttivi, concorse a far diventare l’Europa comunitaria un gigante economico. Il declino della Cee cominciò con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht, la cui architettura fu disegnata sulle esigenze e gli interessi della Germania in alleanza con la Francia. Si passò dal mercato unico europeo ai vincoli stupidi sui bilanci delle nazioni che stabilivano, senza un reale fondamento scientifico, un rapporto debito-Pil non superiore al 3 per cento e un debito pubblico non superiore al 60 per cento del reddito nazionale lordo.

Vincoli di bilancio che favorivano i Paesi meno indebitati rispetto, tra questi l’Italia, a quelli con debito sovrano più alto. Il Trattato di Maastricht era ovviamente propedeutico alla nascita della moneta comune e della Banca centrale europea come unico istituto di emissione della moneta legale. L’entrata nell’euro da parte dell’Italia, fu venduta all’opinione pubblica come un successo del governo presieduto da Romano Prodi. Pur di entrare nell’euro, l’allora presidente del Consiglio Prodi, ebbe a introdurre a novembre nel 1996 un’addizionale sull’imposta sulle persone fisiche denominata eurotassa che ebbe un gettito di 4.300 miliardi delle vecchie lire pari allo 0,6 per cento del Pil per rientrare in uno dei parametri previsti da Maastricht (3 per cento deficit-Pil). Per quanto concerne il debito pubblico-Pil non superiore al 60 per cento, per l’Italia fu fatta una deroga. La norma che introduceva l’eurotassa prevedeva la ripetizione ai contribuenti del 60 per cento di quanto avevano pagato per l’imposta straordinaria. Fu una vera e propria forzatura per entrare nella moneta unica e ancora oggi ne paghiamo le conseguenze.

Quanta lungimiranza aveva il professor Antonio Martino che era ferocemente contrario all’entrata nella moneta unica e alla perdita da parte dell’Italia dell’autonomia monetaria! Infatti, il declino del rating del debito sovrano italiano comincia con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht. L’Italia della lira godeva di un rating tripla A ovvero la massima affidabilità finanziaria di uno Stato. Oggi rischiamo, a mio avviso, senza una vera ragione sui fondamentali della nostra economia, una valutazione prossima ai Junk Bond (titoli spazzatura). In realtà, a volere l’ingresso nell’euro dell’Italia è stata la Confindustria tedesca che temeva la concorrenza della nostra manifattura che sarebbe stata più competitiva in quanto la lira tendeva alla svalutazione.

Nelle condizioni date, i Paesi appartenenti all’Ue sono preoccupati da problemi politici interni in tema di immigrazione anche in considerazione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo di giugno 2024. Sostenere le giuste aspettative del nostro Governo sull’emergenza dei migranti, significherebbe favorire i partiti di centrodestra italiani alle prossime elezioni del vecchio continente, con il rischio concreto che dalla tornata elettorale possa realizzarsi una maggioranza nel Parlamento europeo di centrodestra che minerebbe il potere della diarchia franco-tedesca. L’imperativo, quindi, di questo esecutivo, in attesa dei risultati delle elezioni europee, è quello di contare solo su se stessi!

Aggiornato il 04 ottobre 2023 alle ore 14:50