Se Atene piange…

Siamo sinceri: nonostante la buona volontà e il piglio di Giorgia Meloni l’azione di Governo sembra muoversi su binari che potremmo definire acefali o, se si preferisce, eterodiretti. Nel senso che i vari provvedimenti allo studio paiono dettati da una mano invisibile che li rende in buona parte obbligati. In realtà, la mano non è del tutto invisibile poiché si tratta di lacci e lacciuoli che, per certi versi, hanno origini piuttosto chiare: decisioni e regolamenti europei, pressioni interne provenienti dai partiti e, più in generale, una visione para-ideologica e interventistica tipicamente italiana lungo la quale proposte e, appunto, interventi finiscono per rendere l’azione governativa di destra indistinguibile da quella di sinistra. A parte la questione migratoria, sulla quale l’attuale Governo cerca di agire in termini certamente più netti di un Governo di sinistra, la tendenza delle decisioni in ambito economico e sociale che stanno maturando è quella ormai consueta, tesa a rattoppare le falle dovute all’inflazione per mezzo di provvedimenti temporanei, distribuendo benefici, a debito e peraltro necessariamente modesti, un po’ di qui e un po’ di là.

Ovviamente la cosa sembra obbligata dalla scarsità di risorse ma, proprio per questo, sarebbe meglio concentrarle su un obiettivo unico e chiaro, uno shock magari a rischio, come un abbassamento forte e immediato della tassazione e della spesa pubblica, ma tale da permettere una forte e decisa impennata degli investimenti privati interni e stranieri. Purtroppo, per farlo, occorrerebbero due fattori che mancano o stentano a farsi vedere: una politica europea più lungimirante e una sana iniezione di liberalismo autentico nella cultura complessiva dei partiti della maggioranza. D’altra parte, se Atene piange Sparta non ride perché una spinta verso una ripresa economica robusta e, soprattutto, rapida non può certo attendersi da un’opposizione che persiste nella sua inveterata confusione fra spesa pubblica e investimenti privati nel quadro ormai sbiadito di una politica economica keynesiana impossibile da realizzarsi proprio per la scarsità di risorse e la mancanza di controllo nazionale sull’emissione di moneta.

Un’opposizione dilaniata, come è ormai tradizione secolare, da massimalismi e riformismi accomunati da un’unica propensione che consiste nel proporre, Sic et simpliciter, più spesa di quanta il Governo si appresti a decidere, magari con l’ausilio di qualche sostanzioso aumento dell’imposizione fiscale selettiva, ossia proprio verso i ceti sociali che dovrebbero essere motivati ad investire invece che venire dissuasi da uno Stato insaziabile e improduttivo. Insomma, un bel quadretto che non promette alcunché di buono e nel quale l’unica speranza, per l’Italia, consiste in possibili, ma per ora improbabili, shock positivi provenienti dalla dinamica internazionale che, dalla turbolenza attuale, passi ad una fase di riassestamento post-bellico e di messa a regime della stessa politica migratoria, aprendo la strada ad augurabili e crescenti flussi di investimento.

Aggiornato il 04 ottobre 2023 alle ore 11:47