Giorgio Napolitano: il coerente

In una vera democrazia occidentale, Giorgio Napolitano non sarebbe mai stato eletto alla presidenza della Repubblica. Chi avrebbe votato un comunista che ha militato in un partito che avrebbe voluto instaurare in Italia la dittatura del proletariato? Ha incarnato il peggiore trasformismo della storia dei politici italiani. Il curriculum del personaggio somiglia molto a quello di chi, oggi, definiremmo un militante della sinistra al caviale o del partito della Ztl.

Figlio di una ricca famiglia borghese napoletana, è stato giovane fascista universitario. Subito dopo la guerra, diventa d’incanto comunista non certo da proletario. Da esponente del Partito Comunista “italiano” sostenne convintamente l’invasione nel 1956 dell’Ungheria da parte dell’ex Unione Sovietica. Con la caduta del muro di Berlino e il conclamato fallimento del socialismo reale diventa atlantista e “amico degli americani”.

Nel Partito Comunista, della segreteria di Enrico Berlinguer, vigeva il cosiddetto “centralismo democratico”. Il controllo del partito era così capillare che anche il segretario della sezione di un piccolo Comune doveva avere il nulla osta da via delle Botteghe Oscure. Non godeva la fama di essere un cuor di leone e sono convinto che la cosiddetta corrente dei “miglioristi”, della quale faceva parte Napolitano, non avrebbe potuto esistere senza il benestare di Enrico Berlinguer.

La Costituzione italiana è rigida. L’articolo 138 della Carta recita: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.

Eletto Presidente della Repubblica “valutò” i poteri assegnati dalla “Costituzione rigida” al Capo dello Stato in maniera “elastica”. Da inquilino del Quirinale, interpretando i suoi poteri costituzionali, fu un interventista in politica interna ed estera. Creò le condizioni, con la sponda in Europa di Angela Merkel e di Nicolas Sarkozy e in Italia di Gianfranco Fini, per la caduta del Governo Berlusconi e l’insediamento di un Esecutivo tecnico presieduto dal professor Mario Monti premiandolo, ex ante, del laticlavio di senatore a vita.

In politica estera, avallò il bombardamento della Libia di Gheddafi scavalcando l’allora presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, che era contrario alla defenestrazione di Muammar Gheddafi, determinando la caduta del suo regime. Guerra che ha reso la Libia un Paese ingovernabile, alla mercé dei capi tribù e della guerra civile tra i signori della guerra. Una caduta del regime che stiamo pagando, con l’incontrollato arrivo di migranti irregolari.

Aggiornato il 26 settembre 2023 alle ore 10:55