Migranti, la Corte europea dice “no” ai respingimenti al confine francese

La linea francese sui respingimenti dei migranti è stata bocciata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il fronte è caldo in questi giorni, tra Ventimiglia e la Valsusa, dopo il grande numero di sbarchi e l’hotspot di Lampedusa al collasso. Varie associazioni, tra cui l’associazione Avocats pour la défense des droits des étrangers (Adde), avevano contestato dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato) francese la legittimità di un’ordinanza che ha modificato il Codice sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri e sul diritto d’asilo (Ceseda). Sulla questione il Conseil d’État si è rivolto alla Corte di giustizia europea.

I giudici di Lussemburgo evidenziano che “la direttiva Ue rimpatri va sempre applicata, anche nel caso di controlli ai confini interni” ripristinati temporaneamente da uno Stato membro. I migranti irregolari, evidenzia la Corte Ue, devono pertanto poter “beneficiare di un certo termine per lasciare volontariamente il territorio. L’allontanamento forzato avviene solo in ultima istanza”. Nel caso in cui un Paese membro decida di ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere interne, sottolineano i togati di Lussemburgo, un governo nazionale può sì adottare un provvedimento di respingimento “sulla sola base del codice di Schengen”, ma “ai fini dell’allontanamento” dei migranti irregolari è comunque tenuto a rispettare “le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva rimpatri”. La direttiva comunitaria in questione, spiega la Corte Ue, “si applica a qualunque cittadino di un Paese terzo che sia entrato nel territorio di uno Stato membro senza soddisfare le condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza”, e vale anche qualora un migrante “sia entrato” in detto territorio nazionale “ancor prima di aver attraversato un valico di frontiera in cui i controlli vengono effettuati”.

“Solo eccezionalmente la direttiva rimpatri consente agli Stati membri di escludere i cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare” e, precisano ancora i giudici, “se è vero che ciò avviene in particolare quando” i migranti “sono sottoposti a una decisione di respingimento a una frontiera esterna di uno Stato membro, lo stesso non vale quando sono sottoposti a una decisione di respingimento a una frontiera interna di uno Stato membro, anche qualora siano stati ripristinati i controlli”. La Corte Ue ricorda infine che, stando alla direttiva rimpatri, i Paesi membri “possono trattenere un cittadino di un Paese terzo, in attesa del suo allontanamento, in particolare qualora costituisca una minaccia per l’ordine pubblico” e che possono punire “con la reclusione la perpetrazione di reati diversi” dalla sola circostanza “dell’ingresso irregolare”.

Aggiornato il 21 settembre 2023 alle ore 12:34