Riforma Valditara: ritorno di fiamma per gli Istituti tecnici

Nel Consiglio dei ministri che si è tenuto lunedì scorso, il professor Giuseppe Valditara – ministro dell’Istruzione e del merito – ha presentato la riforma (sperimentazione su larga scala) degli Istituti tecnici e professionali.

L’obiettivo della riforma è quello di realizzare una filiera formativa “tecnico-professionale”. Saranno coinvolti gli Istituti tecnici e professionali e gli Its Academy (Istituti tecnici superiori). Il progetto sperimentale di riforma ha trovato largo consenso da Confindustria, dall’associazione dei presidi e in parte del sindacato confederale (Cisl) del comparto scuola.

Valorizzare la formazione tecnica è un’esigenza vitale per un Paese che vanta la seconda manifattura d’Europa e che si classifica tra i top ten mondiali. Le imprese piccole, medie e grandi lamentano, da tempo, la difficoltà di trovare personale dipendente qualificato. C’è un evidente disallineamento tra le competenze richieste dalle aziende e la formazione dei diplomati negli degli istituti ad indirizzo tecnico e professionale. Lo sforzo del ministro Valditara di incidere su un problema reale del Paese è sicuramente encomiabile. Tuttavia, il ministro si dovrà scontrare con una scuola restia all’innovazione a partire dai cosiddetti “dirigenti scolastici”. Scuola, dove l’insegnamento è diventato complementare agli adempimenti burocratici ridondanti ai quali sono soggetti i docenti.

I presidi, con qualche rara eccezione, sono dei burocrati più attenti ad avere “le carte a posto” piuttosto che alla qualità dell’insegnamento. L’alternanza scuola-lavoro, (strumento indispensabile per far approcciare gli studenti al mondo del lavoro) più che una opportunità per far acquisire delle competenze agli studenti, era considerata un ulteriore problema burocratico da risolvere. La ritrosia verso l’alternanza scuola-lavoro si è accentuata dopo che si sono verificate alcune disgrazie di studenti che stavano facendo degli stage in azienda.

Purtroppo, anche non pochi insegnanti considerano gli Istituti tecnici, e ancora di più i professionali, come una sorta di refugium peccatorum di chi non sarebbe stato in grado di sostenere il peso di un liceo. Sono docenti figli di una “cultura” sinistrorsa che considerano il lavoro manuale una diminutio.

La crisi delle iscrizioni nelle scuole tecniche e professionali è iniziata quando fu riformata l’Università con la nascita delle lauree triennali. Molti ordini professionali quali: ragionieri commercialisti, geometri, consulenti del lavoro, periti agrari, periti industriali etc., adducendo come motivazione l’esigenza di una maggiore qualificazione (in realtà maggiore barriera all’ingresso) hanno modificato i requisiti per l’accesso al praticantato professionale richiedendo in luogo del diploma la laurea breve. Chi sceglieva gli Istituti tecnici, con l’acquisizione del diploma, poteva entrare nel mondo del lavoro, intraprendere l’attività d’impresa senza ulteriori qualifiche o iscriversi all’università. In sostanza, con la riforma dell’università si è differito di almeno tre anni l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani.

Il ritorno di fiamma verso gli Istituti tecnici diventerà realtà quando di nuovo il diploma sarà immediatamente spendibile sul mercato del lavoro. Se uno studente deve, comunque, fare l’università per accedere ad alcune professioni ordinistiche preferisce scegliere il liceo piuttosto che un istituto tecnico. Tutte le scuole secondarie superiori devono fornire le basi culturali per entrare nel mondo del lavoro e per accedere alle università. La vera formazione e le competenze tecniche specifiche si acquisiscono direttamente nelle imprese mutuando il successo degli Its, oggi denominati Its Academy.

Aggiornato il 21 settembre 2023 alle ore 09:47