Migranti, la delocalizzazione sul modello australiano prende piede in Occidente

Il Regno Unito, la Danimarca, Israele, l’Australia hanno deciso di delocalizzare l’accoglienza dei richiedenti asilo ed immigrati privi di documenti, cioè irregolari o clandestini. L’idea di delocalizzare la procedura di asilo al di fuori dell’Unione europea emerge ripetutamente nelle discussioni a Bruxelles. Quando nel 2021 la Danimarca ha legiferato per inviare i richiedenti asilo in Ruanda, il Regno Unito ha seguito l’esempio nel 2022 e ora sta valutando la possibilità di negare l’asilo a chiunque arrivi illegalmente sulle sue coste. Sempre più Paesi europei chiedono l’adozione di questa misura per dissuadere i migranti dal cercare protezione internazionale sul territorio europeo: spostano il problema in un altro territorio. Li salvano e poi li portano in altri territori con cui hanno stipulato un accordo per realizzare un hot-spot. Nel novembre 2022, il ministro dell’Interno austriaco Gerhard Karner ha chiesto ufficialmente ai suoi colleghi europei di prendere in considerazione il modello danese. A febbraio, Joachim Stamp, il nuovo rappresentante speciale della Germania per gli accordi sulla migrazione, ha proposto l’apertura di centri per richiedenti asilo sulle rotte migratorie. Una soluzione che considera più soft rispetto ai centri ruandesi danesi o britannici attualmente in corso.

Secondo Pauline Endres de Oliveira, studiosa di diritto presso l’Università di Giessen, i progetti di outsourcing risalgono agli anni Settanta, con le evacuazioni dal Vietnam, gli Stati di destinazione hanno cercato modi per alleviare la pressione sui loro sistemi di asilo derivante dagli arrivi spontanei e i pericoli che i richiedenti affrontano lungo il percorso. Ovviamente è un’operazione costosa ma è meno costosa che avere disordini sul suolo nazionale e soprattutto è un forte deterrente. Se, chi parte, si rende conto che verrà spostato in un territorio diverso da quello pianificato smetterà di partire. E inoltre è probabile che altri Paesi imiteranno la soluzione adottata da Regno Unito, Danimarca, Israele e Australia. La Commissione Ue ha affermato che il trattamento esterno delle richieste di asilo non sarebbe possibile ma poi sulla Danimarca ha chiuso tutti e due gli occhi.

Il sistema di accoglienza offshore dell’Australia prevede la collocazione in centri di immigrazione offshore nell’isola di Manus in Papua Nuova Guinea e nella nazione insulare di Nauru, nel Pacifico meridionale. Si stima che il governo australiano abbia speso quasi un miliardo per l’elaborazione offshore nell’anno finanziario 2021-2022. L’Italia spende 5 volte tanto per gestirli sul proprio territorio. Secondo Peter William Walsh, ricercatore dell’Osservatorio sulla migrazione dell’Università di Oxford, Israele e l’Australia sono i Paesi che maggiormente utilizzano il sistema di offshoring dell’accoglienza. Israele ha inviato diverse migliaia di richiedenti asilo in Ruanda e Uganda. A differenza del Regno Unito, Israele non ha reso pubblico questo programma e non ha stipulato accordi formali con il Ruanda, il che, secondo Amnesty International, rappresentava un’abdicazione alla propria responsabilità nei confronti dei richiedenti asilo.

Il punto di vista dei danesi è che un accordo con il Ruanda garantirebbe un approccio più dignitoso rispetto alla rete criminale di trafficanti di esseri umani che caratterizza oggi la migrazione attraverso il Mediterraneo. In qualche modo anche la creazione di enclave come quelle di Ceuta o Melilla adottate dalla Spagna il confinamento in determinate isole come quelle della Grecia è una forma di offshoring della gestione del fenomeno migratorio. Evita che i disordini si diffondano a macchia d’olio sull’intero territorio nazionale e unito alla regola che chi immigra illegalmente non potrà più ricevere un regolare permesso di soggiorno rappresenta un forte disincentivo a partire. Le Nazioni Unite non hanno osteggiato il programma e lo hanno denominato Meccanismo di transito di emergenza. E anche i giudici britannici non sono desiderosi di contestare la politica del governo di Rishi Sunak.

Aggiornato il 15 settembre 2023 alle ore 10:51