Proprietà privata: un diritto naturale, sacro e inviolabile

Il Governo Meloni è in procinto di varare un provvedimento in cui sono previsti obblighi e sanzioni per i proprietari di case destinate agli affitti brevi. Il decreto proposto dal ministro del Turismo, Daniela Santanchè, introduce notevoli restrizioni per coloro i quali affittano, anche per pochi giorni, un proprio immobile per uso residenziale o che svolgono attività ricettiva come semplice b&b. Questa è l’ennesima intromissione della politica nella vita delle persone. Con il pretesto di “fornire una disciplina uniforme a livello nazionale nonché contrastare il fenomeno dell’abusivismo nel settore” come recita la formula della bozza del decreto, si infilano le mani nelle tasche degli italiani attraverso nuovi balzelli e incombenze burocratiche.

Purtroppo, nulla di nuovo sotto il sole. Cambia il Governo ma la golosità di “Ciacco” resta la stessa, a cui però non oseremmo chiedere, come fece il padre Dante, chi siano i galantuomini rimasti in città, perché temiamo che la risposta sia la medesima data al sommo poeta. Così come quella sui mali che affliggono questo tempo (“giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c’hanno i cuori accesi”).

D’altronde, non ci si poteva aspettare altro da chi del dirigismo economico e dello statalismo politico ne ha fatto un cavallo di battaglia e una pratica di Governo fin dal primo giorno, introducendo nuove fattispecie di reati, limitando la libera impresa (il caso delle compagnie aeree e dei presunti extraprofitti è emblematico) e attivando misure che colpiscono le rendite, i redditi e il risparmio delle famiglie come la reintroduzione delle accise sui carburanti.

Ora è il momento delle case, il bene primario degli italiani. Intanto, probabilmente ne trarranno beneficio, anche se solo temporaneamente, i grandi gruppi del settore alberghiero che detestano la concorrenza, come qualsiasi altro operatore economico. E forse credono di avere tutto da guadagnare dalla scomparsa della piccola impresa, magari a conduzione familiare, sperando di fare più profitti senza investire nelle strutture e senza innovare l’offerta. Comunque, anche questa è solo una pia illusione, perché la concorrenza estera, più conveniente e più ammodernata, attrarrà col tempo più visitatori di quanto si creda.

Ma una insidia peggiore sta alla base di tutto questo ragionamento: la negazione della proprietà privata come diritto naturale dell’individuo sacro e inviolabile basato sulla loro umanità, indipendentemente dalle leggi e dalle convenzioni sociali. Le persone, pertanto, hanno la prerogativa esclusiva di possedere e controllare le risorse e i beni che hanno ricevuto legittimamente come frutto del proprio lavoro o come eredità dei propri antenati.

Scrive John Locke nella seconda metà del Seicento: “Se l’uomo nello stato di natura è libero come si è detto se è assoluto padrone della sua persona e dei propri beni, uguale al più grande tra tutti e soggetto a nessuno, perché si priva della propria libertà? Perché cede questo imperio e si sottomette al dominio e al controllo di un qualsiasi altro potere? A ciò è ovvio rispondere che, sebbene nello stato di natura egli ha tale diritto, tuttavia il godimento di esso è molto incerto, e costantemente esposto alla violazione da parte di altri. Poiché tutti sono re quanto lui, ogni uomo essendo suo pari, e poiché la maggior parte di essi non osserva in modo stretto l’equità e la giustizia, il godimento della proprietà che egli ha in questo stato è molto insicuro, e incerto. Ciò gli fa desiderare di lasciare questa condizione, che, per quanto libera, è piena di paure e continui pericoli. Non è perciò senza ragione che egli spera e vuole unirsi in società con altri che sono già associati, o hanno in mente di unirsi per la salvaguardia reciproca delle loro vite, della loro libertà e dei loro patrimoni, cose che definisco col termine generico di proprietà”.

Quindi, è la cessione volontaria di una porzione della propria autonomia da parte dei singoli a costituire lo Stato, per trovare la migliore maniera di conservare e magari anche accrescere le proprie fortune materiali, indispensabili alla sopravvivenza individuale e familiare. La proprietà privata e il possesso di una casa rappresentano la possibilità per il singolo di affermare indipendenza e dignità. È del tutto evidente che quando un individuo può disporre di un bene, può prendere decisioni autonome sulla sua vita, potendo pianificare il proprio futuro e così ricevendone in cambio una sensazione di sicurezza e di stabilità.

Inoltre, quando le persone hanno la certezza di poter godere dei frutti del proprio lavoro e dei propri investimenti, sono incentivati a impegnarsi in attività produttive e a cercare nuove opportunità. Questo crea un ambiente in cui l’imprenditorialità e l’innovazione prosperano con il risultato di aumentare la crescita economica, la qual cosa è regolarmente avvenuta nell’Occidente capitalistico, al contrario di quello che è accaduto nell’Oriente comunista, dove sono state ridotte alla fame milioni di persone, rendendole più schiave di quanto non lo fossero prima del suo avvento. Purtroppo, ancora oggi in diverse parti del mondo dove il socialismo è una realtà – come a Cuba – questo continua ad avvenire.

La proprietà privata va oltre la dimensione individuale e pertanto gioca un ruolo vitale nell’economia di mercato. Nei sistemi in cui essa è rispettata e protetta, le persone sono motivate a investire, creare, e innovare. Spesso quando ci si impelaga a cianciare di calo demografico e di crisi della famiglia naturale, contestualmente ci si dimentica però che il possesso di un’abitazione svolge un ruolo cruciale nella stabilizzazione delle famiglie e delle comunità. I nuclei familiari che ne possiedono una godono di una maggiore stabilità economica e di una migliore qualità della vita. Inoltre, i quartieri in cui le persone possiedono le loro abitazioni tendono a essere più coesi e solidali, poiché gli individui si sentono investiti nel benessere della comunità. Gli uomini e le donne sono più inclini a prendersene cura e a investire nelle infrastrutture locali. Questo porta a sobborghi più belli, sicuri e prosperi a differenza di quelli sorti con i programmi di edilizia popolare pagati con fondi pubblici, oggi mal gestiti e abbandonati all’incuria, divenuti luoghi in cui prosperano le associazioni criminali e ogni genere di illegalità.

Oltretutto, la propria reggia, piccola o grande che sia, è un argine al potere dei governi di interferire indebitamente nella vita di una persona, un luogo sicuro in cui nessuno dovrebbe sbirciare dal buco della serratura. Proprio per questo Frank Chodorov affermava che “il cittadino è sovrano solo quando può trattenere e godersi i frutti del proprio lavoro. Se il Governo ha il diritto di precedenza sulla sua proprietà egli deve imparare a genuflettersi davanti a esso. Quando il diritto di proprietà è abrogato, tutti gli altri diritti del singolo sono compromessi e parlare del cittadino sovrano che non ha diritto assoluto di proprietà è parlare a vuoto. È come dire che lo schiavo è libero perché gli è consentito di fare qualunque cosa vuole (anche votare, se desiderate) eccetto possedere ciò che produce”.

Oltre al fatto che la negazione del diritto di proprietà porta alla contestuale perdita di quello di pensiero e di parola. Quando i singoli vengono privati di una parte considerevole del frutto delle loro fatiche, costretti a barcamenarsi tra pratiche burocratiche e uffici pubblici, restano ben poche risorse di denaro e di tempo per dedicarsi alla speculazione intellettuale. Potremmo essere tentati di pensare che anche questo è uno degli obiettivi di una certa partitocrazia, che alla critica preferisce l’acquiescenza e alla politica la propaganda spicciola. E questo può avvenire dovunque e con chiunque al potere. Infatti Ron Paul, notissimo esponente della corrente libertaria non-interventista del Partito Repubblicano degli Stati Uniti e già membro della Camera dei Rappresentanti, in La terza America. Un manifesto. The revolution (Liberilibri), ci ha messo ampiamente ma anche inascoltatamente in guardia dai rischi dei provvedimenti sanzionatori a danno delle finanze personali, affermando con forza che “libertà non vuol dire solo che le nostre attività economiche debbano essere libere e volontarie, ma che il Governo dovrebbe stare fuori anche dalla nostra vita privata. Infatti, essere liberi vuol dire aver capito che la libertà è un tutto indivisibile”.

Speriamo che gli amici della libertà sappiano far tesoro di questo ammonimento, siano vigili e pronti a reagire a ogni sopruso, in nome di quelle conquiste di democrazia che la nostra Costituzione ci garantisce oggi in tempi di Repubblica come ieri lo Statuto Albertino, con tutte le dovute differenze, faceva in tempi di monarchia. Con l’auspicio di essere, prima o poi, tutti proprietari e nessuno proletario.

Aggiornato il 14 settembre 2023 alle ore 09:49