Anche il sindacato licenzia: la vicenda dello storico portavoce Cgil

Anche il sindacato licenzia, come raccontato dal diretto interessato di questa vicenda. Parliamo di Massimo Gibelli, spin doctor di lungo corso della Cgil, capo ufficio stampa e portavoce dei segretari generali che si sono succeduti, da Sergio Cofferati a Susanna Camusso. Stessa mansione, peraltro, ricoperta pure sotto la guida di Maurizio Landini ma tale figura professionale viene cancellata due anni fa, per una sorta di riorganizzazione interna. Gibelli, il 4 luglio, viene accomodato fuori dalla porta. E in qualche modo c’entra pure il Jobs Act.

Non sono scappato con la cassa, non sono inquisito o sotto indagine della magistratura – dice Gibelli sul proprio profilo Facebook – non ho litigato, insultato o commesso ingiustizie nei confronti di colleghi. Non sono venuto meno ai miei doveri di lavoratore, né di lealtà nei confronti della Confederazione generale italiana del lavoro. Non ho commesso nulla che potesse compromettere il rapporto di fiducia esistente”.

Poi il racconto della propria versione dei fatti: “Nel febbraio del 2021 la segreteria della Cgil nell’ambito di una razionalizzazione e riorganizzazione delle attività del centro confederale ha deliberato la soppressione della posizione di Portavoce del Segretario Generale, incarico che allora ricoprivo. In un comunicato venni pubblicamente ringraziato per il lavoro svolto fino ad allora. Mi resi immediatamente disponibile ad essere utilizzato in altro incarico, in qualunque posizione e struttura l’organizzazione ritenesse proficuo utilizzare le mie competenze. Passati due anni, finito il Congresso, eletta la nuova segreteria, nel marzo scorso scrivo una mail al segretario organizzativo – nel sindacato è il dirigente competente al funzionamento dell’organizzazione, alle politiche del tesseramento e, molto approssimativamente, al personale – per ricordare che, da un biennio sono privo di incarico e compiti, e ribadire la mia disponibilità a essere utilizzato ovunque si renda possibile, utile e necessario.

Il 4 luglio – va avanti – al rientro da un breve periodo di ferie, sono convocato dal segretario organizzativo. Durante il colloquio mi viene comunicato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e consegnata la lettera raccomandata a mano in cui si specifica che la data odierna, 4 luglio 2023, è da considerare l’ultimo suo giorno di lavoro. Seguono ringraziamenti e saluti di rito. Ovviamente il licenziamento è stato impugnato e sono ora in corso le conseguenti procedure”.

Fino alla chiosa: “Non so dire se la scelta della data in cui mi è stato comunicato l’ultimo giorno di lavoro sia stata casuale o ragionata. Per quanto mi riguarda, mio malgrado, voglio pensare, devo pensare, che il 4 luglio, l’Independence Day, possa essere un nuovo inizio”. Con la postilla: “Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è previsto dall’articolo 3 della legge numero 604 del 1966, più volte modificato nel corso degli anni, in ultimo dalla riforma Fornero del 2012 e nel 2015 dal Jobs Act di Renzi. Leggi che furono fortemente contestate dal sindacato”.

Per la Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) “a Massimo Gibelli non è stato offerto alcun altro incarico nell’organizzazione sindacale che, pure, avrebbe una sterminata possibilità di reimpiego. Una storia di demansionamento e diritti negati”.

Aggiornato il 12 settembre 2023 alle ore 16:03