La destra non si “impicchi” concettualmente a Vannacci

Prima ancora del cosa e del come, a valere sono le regole d’ingaggio. Roberto Vannacci non dovrebbe abiurare solo con le parole il dirittismo delle minoranze, ma anche incarnare la nemesi nei confronti del diritto ad avere diritti. Tradotto: chi indossa una divisa, piuttosto che una toga – perché a Destra non possiamo chiedere terzietà per i giudici e pretendere noncuranza per i militari – non solo deve essere, ma pure apparire, imparziale nel suo fare e agire. Chi vorrebbe essere giudicato da un magistrato le cui idee politiche sono palesemente avverse alle proprie e, parimenti, chi non si sentirebbe insicuro, se a propria tutela venisse posto un soldato al quale sta pubblicamente in uggia il proprio pensiero partitico?

Ergo, qui non si vieta il diritto di avere il proprio credo – abominevole solo a scriverlo – ma si pone il dubbio se sia opportuno esternarlo in virtù del ruolo coperto. Poi, certo, il modo di esprimersi. Banale, tendente al semplicistico. Il che non vuol dire confutare le tesi propugnate – giudizi deliranti e tranchant a parte – ma piuttosto pretendere di veder avvalorate alcune considerazioni da elaborazione intellettuali decisamente più pregnanti, e da ragionamenti capaci di penetrare un minimo di epistemologia spiccia.

E invece… non comprendo perché la Destra si debba “impiccare” concettualmente a Vannacci, quando nelle sue fila si possono annoverare fior di pensatori di alto rango, abili nel praticare l’eresia e l’anticonformismo senza per questo scadere nell’ovvio di una rimostranza da sentito dire, simile a una versione scadente di quel buon senso meritevole di ben altra capacità analitica.

Infine, asserzioni legate alla normalità o meno di talune figure in funzione dei loro gusti sessuali, non ha alcun aggancio con i principi di natura scientifica. Peraltro, lo sdegno in questo caso è duplice. Sia di natura morale che metodologica. Infatti, già si vuole tentare di intaccare una impalcatura ideologica che – seppure propria di frange sociali minoritarie – presenta una cassa di risonanza importante, dettata dell’allineamento dei principali media del mainstream, la quale è per di più permeata da una cospicua serie di pregiudizi verso tutto ciò che odora di conservatorismo e liberalismo, se poi, nel difficile e complesso lavoro di decostruzione di tali totem (o feticci?) dottrinali, si presta il fianco a polemiche evitabilissime e, ripeto, senza una minima aderenza alla realtà ontologica, allora il disappunto non può che prevaricare su qualunque critica di merito.

In conclusione, coloro che considerano le famiglie queer per quello che sono, ovverosia una paccottiglia sociologica di quarta serie, non per forza debbono rimarcare la loro idea, implementandola di insulti gratuiti con la stessa disinvoltura con la quale Michela Murgia esternava disprezzo per tutti quelli che non vedevano il mondo dalla sua stessa prospettiva.

Aggiornato il 01 settembre 2023 alle ore 11:19