La premier a Caivano sui luoghi dell’orrore

“Le bambine vanno amate non stuprate” recita un cartello pubblicato su social e giornali. Da inorridire. L’emergenza italiana, a cui anche la premier Giorgia Meloni è costretta a dedicare l’attenzione e la partecipazione andando di persona a Parco Verde di Caivano, comune dell’area nord di Napoli, è l’inferno in terra. Cioè spaccio di droga e violenze carnali addirittura su bambine. Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, ha invitato Giorgia Meloni a recarsi in questa porzione di territorio, dove pare che anche la terra lanci il suo grido, per portare lo Stato e il Governo in queste aree martoriate. “Aiutateci ad andare via dal Parco Verde, a cambiare città per dare un futuro ai nostri figli, per strapparli dalle grinfie della pedofilia, della prostituzione, della criminalità” chiedono gli abitanti straziati da corruzioni ed empietà.

Ad agosto, quando il paese, la politica, aziende, italiani e stranieri, erano in vacanza, l’orco si è aggirato per le vie e i luoghi abbandonati di Caivano e ha fatto razzia. A Caivano perché dove c’è il degrado, quel degrado che deborda ovunque, il lerciume che tracima in città come Roma, in cittadine e comuni, boschi, mari e laghi, è più facile attuare il precipizio delle anime.

E’ difficile scriverne, sono cronache per cui le parole non bastano a spiegare dove sono crollate impietosamente la cultura e la civiltà. Ma la cronaca non può esimersi dal dare conto. Due cuginette di 10 e 12 anni, due bambine acerbe, prive di ogni particolare che avrebbe potuto giustificare come e perché la mente umana cada nell’obbrobrio, due minori ancora nell’età delle favole e delle bambole, sono state trascinate in un campo sportivo, sudicio e abbandonato, da un branco di ragazzini, anche essi poco più che adolescenti. E qui sono state vittime di qualcosa che sarà difficile spiegare. E verso cui, noi, la società, dobbiamo provare sgomento, non abitudine e rassegnazione. Per questo l’atto della premier Meloni di portarsi lì non è come quando non andò e poi andò a Cutro per commemorare le vittime delle stragi dei barconi. Alla Meloni, vestita di bianco, che ha scalato la Presidenza del Consiglio urlando “io sono donna, io sono madre, io sono cristiana”, tocca solcare la terra che brucia della Campania. Alla Meloni tocca mettere piedi e mani sugli stessi piani della “Ciociara”, ma senza più l’Oscar a Sofia Loren. Perché un conto è la guerra, la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, un conto è quel pianto tra la polvere, la morte e la fame, che la Loren, nata da quelle parti, sintetizzò in quella scena ancora memorabile, in cui al crocevia di una strada sterrata cercando di fermare una camionetta dell’esercito per denunciare lo scempio subito da lei, donna adulta, e dalla figlia, poco più che adolescente, e che portò nel mondo. Altro è ciò che oggi accade in Campania, a Caivano, per cui la Meloni è stata chiamata a rendere attualità.

La ricordate quella scena madre, che valse a Sofia Loren l’Oscar come migliore attrice, il 9 aprile 1962? Non ci sono i turchi comandati dagli italiani che in un luogo consacrato, sotto gli occhi della Madonna, avevano compiuto un orrore per cui l’America decretò il più alto premio per un’attrice che aveva saputo riferire il dolore e la gravità. Cosa potrà fare sessant’anni dopo una premier di un’Italia così. Perché il dramma di Caivano non è il solo caso isolato di un degrado mai sanato e scivolato nelle grinfie implacabili del consumo di violenza. Tutta la nostra estate 2023 è stata scandita da stupri e orrore. La colonna sonora italiana, senza più cinema, senza più i racconti scritti a due mani da Elsa Morante ed Alberto Moravia. “La storia” e “La ciociara”. Ai tempi Sofia Loren non si risentì per essere chiamata a interpretare la parte della madre campana per cui “ciociara” e “stuprata” si identificarono. Perché la Loren ha spiegato che non era un tratto identificativo di una etnia, di un tipo di donna, quella formosa e appetibile destinata a subire le molestie maschili. La Loren, come prima di tutti Alberto Moravia, avevano voluto denunciare i mali delle guerre e le piaghe. “Lo sapete che cosa ci hanno fatto quei turchi che comandate voialtri, in un luogo consacrato, sotto gli occhi della Madonna?”, urla e piange l’attrice ai militari sulla camionetta i quali le replicano “pace pace”. E poi compie un gesto che è il cuore e la deflagrazione della vicenda. Lo stupro. Per quanto Elsa Morante sia considerata la madre del movimento delle donne in difesa delle donne, per quanto Alberto Moravia sia il narratore del Novecento, “stupro” era scandalo ai tempi. E alzare le gonne di una adolescente violata e smarrita era lo scandalo dello scandalo. Oggi la quasi regolarità, che porta la prima premier donna italiana, vestita di bianco, la donna e la madre, lì dove Sofia Loren guadagnò il suo Oscar a fare cosa? Prendere voti, testimoniare il suo dolore, fare un discorso, fare foto, influenzare il consenso? Sofia Loren era un’attrice, la Meloni recita? Dopo sessant’anni da quella pagina, mi dite che cosa è cambiato?

Niente più guerra, niente più turchi, niente più fame e povertà, due ragazzine di 10 e 12 anni e tutti i minori residenti in Italia hanno gli stessi problemi degli adolescenti, delle madri, dei padri, del parroco di Caivano, che denunciano “pedofilia, droga e degrado”. Non un’eccezione tragica e indicibile, ma l’inevitabile femminino, per cui è necessario scandire su cartelli nei social e in tv che “le bambine” (non si parla più solo di ragazze, ragazzine, donne, madri) “le bambine si amano”. Una raccomandazione che cade nella voragine del rapporto genitori-figli, per cui un’insegnante urla in un video che ha spopolato “vergogna, vi dovete scrivere genitori, davanti e di dietro”.

Ma non è peggio di una bomba atomica? E, secondo voi, questo dramma attiene alla sfera delle sessualità? Non solo. Altrimenti nessuno e nessuna l’indomani si presenterebbe in tv o sui giornali a fare ancora outing sui gusti e preferenze, mostrando muscoli e ambiguità, oppure vantando rapporti e unioni contro ogni natura, visto che non è uno Stato o una legge che decreta “tu sei maschio e tu sei femmina”, ma l’assoluta libertà. La libertà più libera, l’incondizionabile differenziazione, l’unica che scandisce e determina. Chi tornerà ad acclamare diritti e virtù delle cadute mortali come vanto e misura di fronte allo stato sociale e morale? E cosa potrà dire la povera Giorgia Meloni? “Bonificare”, ha anticipato e promesso. Quello potrà, forse, fare in nome e per conto dello Stato. Cioè promettere che dove c’è un campo sportivo quel campo sportivo funzionerà. Ma non sarà facile, perché ciò investe Amministrazioni, magistrati, giustizia, camorra, traffici traffici traffici. Il problema, potrà dire Giorgia Meloni, non sono “gli stupri”, di cui non credo sia un’esperta, o che voglia diventarlo con laurea honoris causa in sociologia, psicopatologia, o chissà cos’altro. Credo, e spero, che la premier italiana chiamata sui luoghi dell’inferno di Caivano, come ha detto il parroco, sappia riferire al paese, al governo e ai vertici dello Stato, che non è solo “un mondo al contrario”, per cui - tradotto - se ledi la dignità dei gay anche fossi un generale della Folgore salti come un birillo e voli via dal posto di lavoro. Cioè non dipende dal livello di omofobia diffuso e allargato, non è tutto e solo causa della selvaggia immigrazione, soprattutto dall’Est, che ha scaricato qui le diaspore irrisolte turche o balcaniche. Non è solo questo.

Il problema che Giorgia Meloni conosce bene e toccherà con mano è sintetizzabile in tre parole. Lavoro, denaro, onestà. Di questo può parlare un presidente del Consiglio, una donna, una premier. Di altro non so. Ed è l’unica via, come sta in quella scena madre di Sofia Loren. Alle donne di oggi l’unica sicurezza che si può garantire è un attento profilo del femminile, una cultura, un decoro, un rispetto che derivi dal grado di istruzione ed educazione, l’affermazione dei propri talenti, il lavoro, la parità. Ma qualora una donna avesse tutto ciò se poi viene a mancare il concetto di morale ed etica, a che servono parità, diritti e lavoro? Anche il tema delle violenze va analizzato nel contesto socio-economico, non nelle antropologie deviate. Pure nei fatidici anni Settanta era così. Una svista, una tremenda svista ha precipitato gli errori di allora nella pozza di sangue odierna. Proseguire o capire? Cosa? Che lavoro, denaro, onestà sono la questione globale.

Aggiornato il 30 agosto 2023 alle ore 11:30