Chi sei, dove vai? Roma val bene un fiorino

Se seguissimo l’esempio citato da Massimo Troisi in duo con Roberto Benigni in “Non ci resta che piangere” forse potremmo risolvere buona parte dei problemi di Roma Capitale. Ricordate la celebre battuta del gabelliere romano che intima ai visitatori: “Quanti siete? Un fiorino”. In tema di tasse, i Romani sono stati secondi a pochi. L’Spqr lo sapevano finanziare, restituendo in gloria e vestigia. Pensate per un attimo se chiunque non fosse residente a Roma, all’ingresso nell’anello urbano, dovesse sborsare l’equivalente di “un fiorino”. Magari con un sistema di barriere. Lo sogno di notte.

Ormai, come tanti, sono ossessionata dal degrado dell’amata Città, l’Urbe più bella del mondo. Altro che Roma Città Aperta, altri tempi! Roma a numero chiuso. Ancorché tutte le strade, le carrette e le carrettiere pare vi giungano. Dovrebbe essere un miracolo, una magia, arrivarci. Lo stesso immaginerei per tanta Italia di vanto e prestigio, il contrario dell’aggressione selvaggia e spesso sconsiderata in corso.

Contestatemi pure. Ditemene quante ne volete. Ma io, Roma, la tutelerei come la creazione più preziosa e, non a caso, il suo appellativo è “Eterna”. Cosa se ne guadagna dalla valanga unnica e neobarbarica di sbandati di ogni risma, di giramondo occasionali, ma anche da quel via vai nervoso e nevrotico? Razzista? No, selettiva. A Roma si dovrebbe entrare in punta di piedi e non con le auto zeppe di sacchi dei rifiuti da scaricare nel primo cassonetto utile. Se potessi beccare, insieme con una squadra di segugi, quelli che gettano a terra mozziconi di sigarette e bottiglie di plastica, farei come l’amputatore della Bocca della Verità. Mutatis mutandis, trasferirei tutte le indegne multe su chi devasta e insozza. Un ricordino del pizzardone da pagare subito, pena la messa al bando e all’onta con foto e pubblicazioni sui social e giornali della classifica dei più sporcaccioni.

Non mi addentro sui senzatetto e fissa dimora, sui medicanti, che tuttavia sono scemati, o meglio sono evoluti e non si accontentano più di lavare i vetri e chiedere l’elemosina. Lo so, Roma è anche questo. La Suburra, la città degli ultimi, richiamati dalla misericordia cristiana. Siamo oltretutto alla vigilia del Giubileo. Salvo che nei giardini papali ci devi provare a gettare un mezzo foglietto di carta. E fanno bene monsignori e cardinali a difendere “la grande bellezza” come il giardino terrestre.

Pagare tutto. Bene ha fatto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, a mettere il biglietto al Pantheon. Se vuoi venire a Roma, se non sei un residente o un lavoratore fisso, dovresti pensare che stai entrando nella Caput Mundi. Ugualmente farei per città e cittadine italiane, per borghi e boschi, giardini e ville. Il concetto è che devi “amare l’Italia” così tanto da girare con un panno alla mano per lucidare anche le foglie. Altro che cittadinanze a gogò.

A me è capitata una cosa simile in Svizzera, dove devi stare in punta di piedi, parlare con voce bassa e usare modi trattenuti. Ma anche in Romania. Proprio nella Romania dei tanti romeni che qui non sono tutti esemplari, mi è capitato nel parco di piazza Unirii, a Bucarest, di essere interrogata da un poliziotto inappuntabile come i corazzieri del Quirinale, il quale voleva sapere come mai stessi da oltre un’ora seduta su una panchina a fissare il Palazzo del Popolo. “Che c’è di strano?”. Attendevo un aereo da Roma che portava ritardo e me ne stavo, beata, a godere del verde e del fresco. Era primavera. Non dico il resto. Sono vissuta in Romania quasi tre anni, ho viaggiato in lungo e largo, tutto maniacalmente controllato. E sono stata richiamata anche soltanto perché l’auto era parcheggiata qualche centimetro sopra la riga bianca, con il vigile che con le mani mi faceva cenno di drizzare le ruote. Così in tanta altra parte del mondo. Non sto a dire di Pechino, della Cina, del Giappone. Non sto a dire di quel tizio nel Vermont che chiamò la polizia, la quale giunse a sirene spiegate solo perché mi ero fermata in un’aiuola privata a rispondere al cellulare. Non sto a dire anche dell’India brulicante. Non sto a dire dei villaggi Masai in Africa, dove anche le giraffe ti tengono d’occhio.

Noi romani, noi italiani, dobbiamo ritrovare orgoglio e decoro, smetterla di dividerci, consentendo agli sfruttatori d’insinuarsi, dobbiamo rafforzare il senso di appartenenza e coltivare il rispetto. Questi anni progressisti, in cui si è confusa l’accoglienza con l’invasione, sono stati devastanti. La sinistra non ha fatto un buon servizio al Paese, ha usato il caos per accreditare estremismi che hanno radicalizzano la politica, ma non hanno determinano un consenso positivo. Fa benissimo Giorgia Meloni a essere il più possibile “giusta” con le minoranze, con gli stranieri, con gli immigrati, con gli avventori, ma rafforzando la severità del governo. “Severità”, non bisogna aver timore di questa modalità dell’essere. Severità e serietà sono necessari come il pane quotidiano, basta vedere come traballano i giovani e le famiglie. E per fortuna che i giornali, soprattutto quelli di “opinione”, fanno le loro campagne e scongiurano disastri. Come lo sventato attacco ai Fori Imperiali in corso di restyling grazie alle inchieste del Messaggero.

Ho letto un intervento del manager delle partecipate Chicco Testa sul Corriere della Sera (11 luglio 2023) sul problema dei rifiuti. Chi più ecologista, progressista di lui? In sostanza diceva che “Ama è irrecuperabile”, che sono trent’anni che si cerca di riformarla da destra e da sinistra senza successo e che per avere una città praticabile bisognerebbe affidare il servizio ai privati. “Se le quasi mille assunzioni decise per Ama fossero invece rese disponibile attraverso un nuovo soggetto privato avremmo almeno tentato una soluzione diversa”, ha scritto il dirigente esortando i sindacati. Non è mai troppo tardi.

Se si imparasse a ragionare insieme sui problemi comuni faremmo il bene della politica e dell’Amministrazione. Cito Testa, perché insieme con Massimo Cacciari l’ho sentito più volte parlare di Giorgia Meloni e del suo Governo senza perdere le radici. L’ossessione sinistrorsa e gli estremismi conseguenti sono fuori tempo, alla politica sono chieste soluzioni non campagne d’immagine. Se lo mettano in testa i piddini, che dagli anni Settanta martellano coi diritti. Sono arrivati ai gatti e ai cani a tavola, alla mucca in giardino, al terrorismo ecologico, a giustificare la monnezza e il degrado lanciando la sfida di cambiare le mutande e fare la doccia non più di due volte a settimana. Le soluzioni ci sono e sono possibili. Il business del futuro riguarda proprio quello sviluppo a cui accennava Testa e sul quale alla ripresa settembrina mi permetterò di dedicare alcuni servizi, riportando le simulazioni, i numeri e i progetti di alcuni “illuminati” e coraggiosi, che hanno idee da faville.

Per ora anche io auguro ai lettori buon Ferragosto. Auguro di rilassarsi in vista di un autunno che dovrà essere caldo di partecipazione. Perché le opinioni sono il sale del giornalismo e del dibattito. Parleremo al ritorno dei prezzi alle stelle, dei 2 euro per un toast a metà, delle speculazioni agostane. Mi raccomando segnate e documentate, sapendo distinguere la truffa dal sacrosanto “chi sei, dove vai? Un fiorino”.

Aggiornato il 11 agosto 2023 alle ore 12:30